Nella miniera milanese della M4, hai un nome solo quando muori

16 Gennaio 2020

A Milano 2020 si muore come nelle miniere del Sulcis negli anni Trenta del Novecento. Erano le 18:35 di lunedì 13 gennaio. Raffaele Ielpo – 42 anni, di Lauria, provincia di Potenza, caposquadra della Tunnel Boring Machine che scava le nuove gallerie della metropolitana milanese – stava lavorando in un cunicolo a 18 metri di profondità del “Manufatto Tirana”, il cantiere della M4 sotto piazza Tirana, al Giambellino. Gli è caduta addosso la volta, forse a causa delle infiltrazioni d’acqua della falda, che si trova sopra lo scavo del tunnel. È stato travolto da una pioggia di terra, detriti, sassi. Era cosciente all’arrivo degli infermieri del 118 e dei vigili del fuoco. All’ospedale San Carlo è arrivato senza vita, il suo cuore aveva smesso di battere.

Era un capo operaio esperto, Raffaele. Aveva lavorato anche per la grande impresa spagnola Acciona, era stato a lungo in cantieri all’estero, in Norvegia. Ora era una “tuta arancione” del consorzio Metro Blu, che scava la linea 4 per conto del Comune di Milano e dei suoi soci di minoranza, Salini-Impregilo, Astaldi, Ansaldo, Atm.

Meno di tre mesi fa, il 28 ottobre 2019, in un altro cantiere della M4, in via Foppa, era rimasto ferito Gianfranco Persia, detto Gorbaciov, 61 anni, di Capistrello, provincia de L’Aquila. È crollata l’impalcatura su cui lavorava, facendolo precipitare per sei metri. Otto costole rotte, una clavicola in frantumi, un polmone distrutto. Per tre giorni è restato in bilico tra la vita e la morte, ora è fuori pericolo, anche se fatica a riconoscere e a ricordare.

Raffaele e Gianfranco sono due personaggi di una Milano sconosciuta, quella dell’esercito di operai che lavorano a turni, 24 ore su 24, nelle viscere della città. La metropoli “di sopra”, quella dei grattacieli e dei locali glam, quasi non la vedono. Stanno sottoterra e, alla fine del loro turno, vanno a fare la doccia, a mangiare in mensa e a dormire nel “campo base” di Buccinasco, dove da due anni e mezzo vivono centinaia di lavoratori che provengono dal Sud dell’Italia o dall’Est dell’Europa o dal Nord dell’Africa.

Li ha raccontati su Repubblica Milano Matteo Pucciarelli, che ricorda come i sindacalisti degli edili milanesi oggi si chiamino Khalid Bouzian (Cgil) e Alem Gracic (Cisl) – e già i nomi dicono com’è cambiato il mondo e il lavoro e la città. Al cronista dicono che i ritmi di lavoro sono implacabili e che nessuno si accorge di loro se non quando qualcuno muore. Vivono sottoterra, respirando l’aria pompata dalle macchine, si muovono alla luce delle fotocellule, lavorano anche per dieci giorni di seguito, senza pause, per guadagnare di più e per accumulare più giorni di riposo possibile, per tornare a casa – chi può e quando può. Sopra, la città non si accorge di loro.

A che cosa serve fare polemiche, ora, sull’utilità della M4, sui suoi costi, sul peso finanziario che graverà sulla città nei decenni futuri? Le linee metropolitane sotterranee costruite fin dagli anni Sessanta hanno reso Milano una città in cui è facile muoversi. I trasporti funzionano bene e la linea blu renderà più fluidi i collegamenti. Non vale ricordare, ora, che la più invasiva e costosa delle opere pubbliche in corso a Milano è stata analizzata dal Comitato per la legalità del Comune presieduto da Gherardo Colombo con seguito di dure bacchettate per l’amministrazione, a causa dei ritardi, degli extra-costi, degli errori di progettazione e di gestione. Ora conviene soltanto tacere e ringraziare l’esercito invisibile di chi lavora, e a volte muore, nelle viscere della città.

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