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Asta 5G, cuccagna per il governo e salasso per i big della telefonia: l’incasso sale di 4 miliardi

Ieri s’è chiusa l’asta per l’assegnazione delle frequenze: 6,5 miliardi a fronte dei 2,5 attesi. Le compagnie scaricheranno il costo sugli utenti?

Di M. Mar.
3 Ottobre 2018

Ci si aspettava un incasso di 2,5 miliardi di euro, sono oltre 6,5. L’ultima assegnazione pubblica di frequenze radio per la telefonia, quella per il 5G, la quinta generazione, si è rivelata una miniera d’oro per il governo. Alla gara hanno partecipato tutti i principali protagonisti delle telecomunicazioni in Italia: Wind 3, Vodafone, Telecom Italia, Fastweb e Iliad. Si sono sfidate in 171 tornate di rilanci. Se per il governo, i 4 miliardi sono un inaspettato tesoretto, per le compagnie telefoniche, che già hanno debiti alti e margini risicati, la spesa è un fardello pesante.

Il 5G è lo standard che permetterà, secondo le aspettative dell’Unione europea a partire dal 2020, di connettersi senza fili per ricevere dati alla velocità di 10 gigabit al secondo, circa 100 volte di più della connessione 4G, la migliore tecnologia disponibile ora; per capirsi si potrà scaricare un film sul dispositivo mobile in una frazione di secondo. Ma non sono solo le applicazioni dell’entertainment quelle per cui sul nuovo standard stanno puntando compagnie telefoniche, governi e l’Europa: il 5G è considerato la nuova frontiera dell’interconnessione, in grado di portare, secondo gli esperti, sviluppi accelerati in settori che vanno dalla mobilità (per esempio per i veicoli a guida autonoma), alla sanità (diagnosi a distanza), alle applicazioni industriali.

Il problema è che per connettere tutto il territorio nazionale con questo standard serve un’ampiezza di banda (frequenze radio) 30 volte maggiore di quanto richiesto finora, tanto che le frequenze messe a disposizione nella gara attuale basteranno forse a soli due operatori per avviare le connessioni in 5G. Gli altri dovranno attendere un’ulteriore gara. Una circostanza che evidentemente non era stata presa nella dovuta considerazione nel 2017 dal ministero dello Sviluppo e dall’Agcom, quando sono state stabilite le regole dell’asta. “Si pensava che viste le molte frequenze da assegnare i prezzi sarebbero rimasti simili a quelli della gara precedente, quella per le frequenze 4G”, spiega un ex alto dirigente Telecom, “ma qui il rischio era di rimanere fuori e gli offerenti non si sono risparmiati”.

Nel dettaglio, la competizione più aspra è stata sulla banda attorno ai 3700 Megahertz (Mhz), che permette di partire subito con il nuovo standard. I lotti più importanti se li sono aggiudicati Tim e Vodafone (due blocchi da 80 Mhz) mentre a Wind 3 e a Iliad sono andati due blocchi da 20 Mhz. Le altre frequenze di peso, quelle da 700 Mhz, (che però non si potranno utilizzare fino al 2022 dato che sono ancora in uso dalle emittenti televisive) erano state già state assegnate, in asta a Tim e Vodafone, e senza gara alla francese Iliad, in qualità di nuovo entrante sul mercato. Tim e Vodafone hanno speso 2,4 miliardi ciascuna, mentre Iliad e Wind 3 hanno pagato complessivamente 1,7 miliardi per i lotti che si sono aggiudicate.

I 6,5 miliardi peseranno sui conti dei big delle telecomunicazioni, a cui l’arrivo dell’operatore low cost Iliad (costi fissi bassissimi e una rete commerciale tutta on line), che dallo sbarco in Italia a maggio ha già attirato 2 milioni di clienti, sta mettendo una forte pressione competitiva. L’agenzia di rating Moody’s quest’estate stimava un calo tra il 4% e il 6% dei fatturati nei prossimi due anni e secondo Sostariffe.it le offerte dei principali operatori mobili hanno già subito ribassi medi del 20%. Con la nuova spesa, che porterà benefici chissà quando, diventa difficile far quadrare i conti, a meno di escogitare qualche nuova fonte di ricavi da caricare nelle bollette o tagliare ancora sensibilmente i costi.

Secondo gli analisti finanziari, le ripercussioni più notevoli si avranno sui conti di Tim. I circa 2,4 miliardi spesi per le nuove frequenze, da aggiungere ai costi per adeguare le infrastrutture e l’architettura di rete al nuovo standard, pesano infatti su un indebitamento netto che era già a quota 25 miliardi e sui margini operativi tra i più risicati del settore. Nelle settimane scorse sui titoli del gruppo hanno rilasciato report negativi le banche d’affari Exane Bnp Paribas e Imi, l’altro ieri è stata la volta di Barclays. Ieri Tim in Borsa ha chiuso in ribasso del 2,5%, a 0,48 euro, vicina ai minimi storici del 2013.

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