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Ddl anticorruzione, la legge del governo vuole confiscare anche ai prescritti

Anticorruzione - Dal Daspo all’agente sotto copertura, cosa prevede il ddl che – dicono gli esperti – funzionerà più negli uffici pubblici “minori” che sui grandi appalti

5 Settembre 2018

L’ha battezzata “legge spazza-corrotti”, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. E la ritiene, senza mezzi termini, “rivoluzionaria”. Prevede il “Daspo” perpetuo per gli imprenditori condannati per reati contro la Pubblica amministrazione, che saranno esclusi dalle gare d’appalto; per sempre: anche una volta intervenuta l’eventuale riabilitazione del condannato, che di solito scatta tre anni dopo la fine dell’espiazione della pena. Il “Daspo” sarà a termine (5 anni) solo per coloro che ricevono una condanna che non superi i 2 anni.

La “spazza-corrotti” prevede poi che la confisca dei beni disposta in caso di condanna resista anche all’estinzione del reato che potrebbe essere prodotta da un’amnistia o da una prescrizione. E introduce infine l’agente sotto copertura, che potrà raccogliere prove della corruzione infiltrandosi all’interno del gruppo che la sta realizzando. “Sarà un moderno Donnie Brasco che potrà fare piazza pulita della corruzione”, ha detto ieri Luigi Di Maio.

L’impiego dell’agente sotto copertura nelle operazioni anticorruzione era già previsto dalla Convenzione Onu di Merida del 2003, ma non era ancora stato introdotto nella legislazione italiana. Ora il nuovo decreto dà finalmente attuazione a quella indicazione. Come funzionerà? Un agente di polizia giudiziaria s’infiltrerà tra gli imprenditori e i politici che stanno “negoziando” un appalto o truccando una gara, oppure dentro un ufficio pubblico dove si pretendono mazzette: sotto la direzione del pubblico ministero, raccoglierà le prove della corruzione in atto. Finora questo era già possibile in Italia per le indagini su mafia e terrorismo. L’agente “undercover” è stato infatti spesso usato nelle inchieste sui traffici di droga. In quelle contro la pedopornografia sono state più volte create false identità informatiche per scambiare via web materiale illegale e individuare i pedofili. Non è mai stato utilizzato, invece, nelle indagini sui traffici illegali di rifiuti, benché fosse già permesso dalle norme. Ora sarà impiegato anche nella caccia ai corrotti e l’Italia farà da apripista per gli altri Paesi d’Europa, che ancora non hanno recepito la Convenzione di Merida. Le esperienze più significative sono state realizzate negli Stati Uniti, dove è possibile anche il “test d’integrità”, escluso invece dal nostro ordinamento, che consiste nel sottoporre funzionari pubblici alla prova di una “ragionevole” tentazione tramite l’offerta di una tangente, per verificarne la resistenza alla corruzione.

L’agente “undercover” è raccomandato caldamente da un manuale anticorruzione pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2004. Lo ricorda il professor Alberto Vannucci, docente all’Università di Siena, che cita anche i buoni risultati ottenuti con questo strumento investigativo negli anni scorsi “per fare pulizia all’interno dei corpi di polizia di New York e di Londra”.

Secondo Vannucci, in Italia l’agente sotto copertura potrà essere efficace soprattutto negli uffici comunali o regionali, in quelli del catasto o in altri uffici pubblici dove potrà arrivare un cittadino a chiedere un permesso, una licenza, o dove potrà essere assunto un impiegato, che saranno in realtà agenti di polizia giudiziaria pronti a registrare le richieste di tangenti e i comportamenti illegali. “Più difficile”, dice Vannucci, “sarà l’infiltrazione nei sistemi dei grandi appalti, dove imprenditori, faccendieri e politici si conoscono bene, dove funzionano antichi meccanismi fiduciari e l’intruso sarebbe subito guardato con sospetto”.

Un limite all’efficacia dell’operazione sotto copertura – fa osservare un investigatore di grande esperienza – potrebbe però venire dalle catene di comando degli agenti di polizia giudiziaria. Sono controllati e diretti dal pubblico ministero. Ma una norma contenuta in un decreto legislativo del 19 agosto 2016 ed entrata in vigore il 1 gennaio 2017 impegna la polizia giudiziaria che lavora per le Procure a informare i superiori gerarchici delle indagini in corso: “I responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. È una norma “spiffera-indagini” che riguarderà anche le operazioni sotto copertura: i vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza, che dipendono dalla politica, dovranno essere informati anche di eventuali, delicate inchieste che potrebbero coinvolgere personaggi di potere, con il rischio di un corto circuito polizia-politica.

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