Il caso

Renzi invia 4 milioni di lettere-spot agli italiani all’estero, ma a quelli del No negano gli indirizzi

Doppio standard - I dem: “Avere gli indirizzi è legale”. Gargani: “Il Viminale mi ha respinto”

12 Novembre 2016

“Ho chiesto 20 giorni fa al ministero dell’Interno di avere gli indirizzi dei 4 milioni di italiani all’estero. Mi hanno dato solo i nominativi dicendo che per la privacy non potevo avere né indirizzi, né mail, né telefoni. Così non so che farmene“. La denuncia arriva da Giuseppe Gargani (ex deputato prima Dc, quando fu pure sottosegretario, poi col centrodestra), presidente del Comitato popolare per il No. È lui stesso che solleva la questione: “Se il presidente del Consiglio ha quegli indirizzi, pretendo di averli anche io”. Ma evidentemente per la privacy (e per i suoi “esoneri”) ci sono due pesi e due misure. “Caro italiano, cara italiana. Nessuno meglio di voi sa quanto sia importante che il nostro paese sia rispettato fuori dai confini nazionali”. Comincia così la lettera scritta da Matteo Renzi per convincere i 4 milioni di italiani all’estero a votare Sì. Una missiva nel miglior stile del premier, corredata dalle sue foto con i Grandi del mondo, e annunciata in pompa magna da Maria Elena Boschi, giovedì sera, durante un incontro con i Comitati europei: “Il presidente del Consiglio ha inviato una lettera agli italiani all’estero in vista del referendum del 4 dicembre”. Un’informazione buttata lì, che però fa partire la polemica. E le domande.

Dice Gaetano Quagliariello: “Nessuno discute il diritto del Pd di avvalersi delle prerogative che la legge gli attribuisce per l’accesso ai dati, ma il minimo che si possa fare è chiedere di sapere da chi sia stata fatta la richiesta dei dati anagrafici dei cittadini italiani dei residenti all’estero; se ad altri richiedenti possano essere forniti con la stessa celerità; con quale modalità e con quale tariffa le lettere siano state recapitate”. Ancora: con le tariffe ordinarie “una spedizione del genere costerebbe quanto il Cnel”. Domande che trovano risposte parziali da parte degli uomini del Sì, e una chiara, a sera, da Gargani. Può un capo di governo scrivere a 4 milioni di italiani, che magari non hanno nessuna voglia di ricevere la sua posta? “È un’iniziativa del Pd”, chiarisce in maniera ufficiale il Comitato Basta un Sì. E i dati sono stati presi dall’Aire (Anagrafe degli Italiani all’estero), raccontano in maniera informale dallo stesso Comitato.

La risposta, comunque, è sì, possono: il tutto è autorizzato da un provvedimento del garante della Privacy, Antonello Soro, ex deputato Pd, in materia di “trattamento di dati presso i partiti politici e di esonero dall’informativa per fini di propaganda elettorale” (pubblicato nel marzo 2014). Secondo questo regolamento, “partiti, movimenti politici, comitati di promotori e sostenitori, nonché singoli candidati” possono “lecitamente” trattare “dati personali per finalità di propaganda elettorale” e “comunicazione politica”. Tra gli elenchi “pubblici” da cui si possono trarre i dati anche quelli degli elettori italiani all’estero. E così tutto il Pd può difendere l’operazione. Almeno fino a Gargani. La polemica era scoppiata comunque. Alfiero Grandi e Domenico Gallo del Comitato del No (quello dei professori) denunciano “la confusione tra ruoli politici (segretario del Pd e nume tutelare del Comitato per il Sì) e istituzionali (Presidente del Consiglio)”. Una sovrapposizione di ruoli di cui lo stesso premier è consapevole, visto che la lettera la firma solo “Matteo Renzi”. Certo, forse il suo nome e cognome lo ha aiutato nel non avere lo stesso diniego nell’ottenere gli indirizzi degli elettori all’estero incassato da Gargani dal Viminale. Anche di questo parleranno Comitati del No e opposizioni se il presidente Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni gli concederanno l’incontro sul tema del voto all’estero chiesto ufficialmente ieri. Intanto, però, Renzi ha guadagnato un vantaggio temporale nel vendere la scelta del 4 dicembre fuori dai confini.

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