Questione morale. La rimozione del Pd fa perdere consensi

28 Marzo 2018

Visto che Dio rende ciechi coloro i quali vuole perdere, non solo il Pd, ma quasi tutta la stampa italiana, evita accuratamente di annoverare la questione morale tra le cause del tracollo elettorale dei Dem.

La rimozione del problema, evidente per chiunque abbia osservato la storia recente del partito, ha toccato livelli quasi comici il 23 marzo, giorno di avvio dei lavori delle Camere. Dalla maggior parte dei resoconti giornalistici sul discorso inaugurale a Palazzo Madama dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stata espunta o nascosta la parte in cui l’ex capo dello Stato ricordava come nel Sud Italia gli elettori avessero “condannato in blocco – anche per i troppi esempi da essi dati di clientelismo e corruzione – i circoli dirigenti e i gruppi da tempo stancamente governanti in quelle regioni”. Il Corriere della Sera, dopo aver per anni considerato Napolitano una sorta di semi Dio a cui si doveva la salvezza del Paese, non dedica nemmeno una riga alle sue parole su clientelismo e corruzione. Stessa linea viene seguita da La Stampa, mentre un po’ meglio fa Repubblica che riporta per intero la frase, pur non segnalandola né nel titolo, né nel sommario dell’articolo.

Ora, se è comprensibile che un partito reduce da una scoppola elettorale senza precedenti, ci metta un po’ ad analizzare le ragioni della sconfitta (anche perché farlo significa discutere i propri quadri e i propri vertici), appare sorprendente che nessuno tra gli osservatori della politica voglia ragionare sul perché tanti cittadini siano disgustati dai comportamenti dei loro rappresentanti. Così, quando prima dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato, Forza Italia aveva candidato per Palazzo Madama il pregiudicato per peculato Paolo Romani, sulla stampa italiana era quasi impossibile trovare commentatori che affermassero un principio ovvio: la seconda carica dello Stato non può avere una condanna sulle spalle perché farà perdere ogni autorevolezza all’istituzione che rappresenta. E anzi finirà con la sua sola presenza per buttare benzina sul fuoco (questo sì populista) acceso da chi ripete: intanto sono tutti dei ladri. Un’affermazione falsa, perché in ogni forza politica le persone oneste sono molte, ma che può essere efficacemente contrastata solo se si riscopre il valore dell’esempio. Se, cioè, chi ha l’onore e l’onere di rappresentare gli italiani applica nei confronti di se stesso criteri di selezione più rigidi di quelli richiesti ai semplici cittadini.

Ecco allora perché, a parere di chi scrive, il Partito democratico non può eludere il problema se davvero vuole risalire la china. Nei dem militano migliaia di amministratori perbene che hanno il diritto e il dovere di far sentire la loro voce. In un momento storico in cui la sinistra in Italia non è stata in grado di garantire, per scelta, ma anche per oggettive condizioni economiche avverse, i diritti sociali è un po’ folle (come hanno dimostrato i risultati elettorali) pensare che per avere consenso sia sufficiente battersi per quelli individuali. Il Pd deve invece recuperare una serie di parole d’ordine che un tempo gli appartenevano: antimafia, anticorruzione, legalità e appunto questione morale. Certo, conosciamo l’obiezione: la sinistra anche quando predicava bene, spesso razzolava male. È vero. Ma quei messaggi avevano però la forza di dare un’identità a un popolo. Erano motivo di orgoglio e di vanto per milioni di elettori. Anche per questo, oggi, chi all’interno del Pd ha i requisiti etici per farlo, deve prendere coraggio e parlare.

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