L’inchiesta • L’eterna tangentopoli

Corruzione, il Grand Tour della tangente a Nord Est: dove le mazzette si perdono anche in auto

Di FQ L’inchiesta
26 Agosto 2017

Il viaggio tra le mazzette scoperte nei primi sette mesi del 2017 questa volta fa tappa nel Nord-Est. Tappa obbligata, passando per l’Emilia Romagna, l’azienda ospedaliera di Parma. Protagonista assoluto, in questo passaggio emiliano, è il professor Guido Fanelli. Parliamo del Guido Fanelli già estensore della legge sulla terapia del dolore; già presidente della Commissione per l’attuazione della suddetta legge; già professore ordinario dell’Università di Parma di Medicina e Chirurgia, settore anestesia e rianimazione; nonché, infine, già direttore scientifico del Pinhub, ovvero la rete nazionale che dovrebbe garantire l’applicazione della (sempre suddetta) legge sulla terapia del dolore. Ai summenzionati titoli – ricordando che siamo ancora nella fase delle indagini preliminari e che ogni accusa dovrà essere provata – il professor Fanelli aggiunge ora, dopo l’inchiesta condotta dai carabinieri del Nas, lo status d’indagato per corruzione.

 

Sperimentazione che passione/1

Pompe d’infusione in ospedale e pompe di sentina in barca

Eh già, perché i carabinieri scoprono che, di tanto in tanto, il professor Fanelli “spingeva” qualche farmaco, o qualche apparecchiatura medica, ben più del consentito. In che modo? “Predisponendo – per esempio – la conduzione di fatto di sperimentazioni cliniche, in assenza del previo parere del comitato etico dell’ospedale di Parma”. Un esempio? “Mascherando detta sperimentazione… attraverso l’introduzione di 2 macchine per l’emotrasfusione sulle quali veniva montato il filtro, oggetto dello studio di valutazione… al fine di attestarne la validità scientifica…”. Ma almeno, questo filtro, era valido? Secondo il professor Fanelli si trattava “di una pompa d’infusione del cazzo…”. E l’obiettivo, secondo l’accusa, era “poterne incrementare la vendita presso le strutture pubbliche”. Ma in cambio, il nostro luminare, cosa ci guadagnava?

L’inventario è suggestivo: “Pagamento di svariate cene ai ristoranti parmensi Cocchi, La Brace, il Tramezzo e Osteria il Norcino. Poi la “strumentazione di bordo da installare sullo yacht Pasimafi V di proprietà della società Craig Up, a lui riconducibile”. E per la precisione: “Navigatore Gps, software cartografico Navionics, pompe di sentina”. E se non bastasse, oltre ad alcuni “lavori di manutenzione tra febbraio e giugno 2016”, il professore incassava anche il “pagamento dell’ormeggio a Porto Venere e di biglietti aerei e albergo, in occasione di un soggiorno a Napoli”. Quello della pompa di trasfusione non è l’unico caso contestato a Fanelli.

 

Sperimentazione che passione/2

Quei farmaci in corsia… preferenziale

La Procura di Parma lo accusa anche di aver “sollecitato” i medici della “unità ospedaliera da lui diretta”, nella primavera 2015, “ad aumentare la prescrizione” di un farmaco, dopo aver saputo “dall’informatore scientifico di zona” del “cattivo andamento delle vendite” e, soprattutto, “che il reparto ospedaliero da lui diretto era il fanalino di coda nella prescrizione”. “Io adesso prendo i miei e li obbligo – dice Fanelli intercettato al telefono – li obbligo, gli dico, gli faccio presente che questa cosa non va bene…”. Fanelli, sempre secondo le accuse, s’impegnava anche a elaborare “una strategia finalizzata a contrastare la nota Aifa (Agenzia italiana del farmaco, ndr) del 2015”, intitolata “Aumenta il consumo di antidolorifici oppioidi. Il trattamento del dolore in gravidanza”, che auspicava un “maggiore controllo prescrittivo da parte dei sanitari”. In cambio riceveva 31 mila euro “a fronte di fatture inesistenti” e “altri 60 mila in modalità in corso di accertamento”. E ancora: avrebbe agevolato “la prescrizione di un farmaco, un cerotto medicato di Lidocaina”, per il quale la Commissione del farmaco regionale aveva espresso “parere non favorevole”. Il motivo? La Commissione riteneva che non vi fossero “evidenze sufficienti” a stabilirne “l’efficacia rispetto ai trattamenti disponibili’…”. E ora spostiamoci in Veneto. E, per la precisione, nella Questura di Padova.

 

Dai permessi di soggiorno à la carte all’Agenzia delle Entrate

Soldi in contanti al funzionario dell’ufficio immigrazione

È qui infatti che, si scopre pochi mesi fa, agivano Xinmiao Chen detto “Matteo” e Diana Curjos. A quanto pare, avevano messo su una sorta d’agenzia specializzata in permessi di soggiorno facili. I finanzieri guidati dal colonnello Gavino Putzu, infatti, individuano l’ennesimo caso di corruzione: i due “consegnavano” in “diverse occasioni” “somme di denaro, in contanti, a Renzo Dalla Costa, Sovrintendente capo della Polizia di Stato in servizio presso al Questura di Padova, già addetto all’Ufficio Immigrazione”. Secondo l’accusa, pagavano per la “concessione di permessi di soggiorno di cittadini extra comunitari” che, in realtà, non avevano i requisiti previsti per ottenerlo. La tappa più suggestiva, per il viaggiatore intento a seguire il percorso delle mazzette, è però a Marghera, a una manciata di chilometri da Venezia. Destinazione via Giuseppe de Marchi 16. Siete di fronte all’ingresso della locale Agenzia delle Entrate. Che di entrate – scoprono la Guardia di Finanza guidata dal generale Alberto Reda e i pm Stefano Ancillotto e Stefano Buccini – a volte ne registrava meno del dovuto. E non si trattava di spiccioli.

 

Più mi paghi, meno paghi

Dagli appalti del Mose agli sconti truccati sui tributi

I pm Ancilotto e Buccini, bisogna dargliene atto, quando trovano un filo investigativo valido, vanno davvero fino in fondo. E come per le famose ciliegie del proverbio, per loro, un’inchiesta tira l’altra. Mentre scoperchiavano il malaffare che ruotava intorno al Mose – il sistema di paratie mobili che avrebbe dovuto fermare l’acqua alta a Venezia – s’imbattevano in strane telefonate e contatti sospetti. Intercetta uno, intercetta l’altro, arrivano a un commercialista ed esponente del Pd, Alessandro Maggioni, che parla con Elio Borrelli, direttore del Centro operativo dell’agenzia delle Entrate di Venezia. E scoprono che Borrelli “chiede a Boldrin (non indagato ndr.) di intercedere presso il sottosegretario di Stato al ministero dell’Economia e delle Finanze, Pierpaolo Baretta, conoscente del Boldrin, affinché ‘spingesse’ a livello ministeriale per far assegnare, allo stesso Borrelli, uno dei posti vacanti tra quello di direttore della direzione provinciale di Roma, Napoli o in Veneto come capo dell’Audit”. La raccomandazione non andò a buon fine. “Senti una cosa Arcangelo – dice Borrelli a Boldrin – per strada pensavo, te la butto proprio pesante, cerca di farmi andare a Verona, che ti cambia la vita a te”. E a questo punto parte “l’apertura di un nuovo capitolo d’indagine – si legge negli atti – teso ad accertare perché vi fosse un così intenso interesse di tali esponenti politici a favorire le promozioni del predetto funzionario”. Risultato: si scopre che, nell’Agenzia delle Entrate di Venezia, c’era chi si faceva corrompere, da alcuni imprenditori, per consentirgli di pagare all’erario meno del dovuto. Esaurita la premessa, entriamo nel vivo del tour, che prevede un passaggio nel Campo Guglielmo Marconi di Chioggia. Un luogo memorabile per i cultori della materia.

 

O la borsa o la tassa

“Mi erano caduti 20 mila euro in auto. Scusa la cazzata”

È qui che il 23 dicembre 2016, Aldo Bison e sua moglie Anna Basso, parcheggiano la loro Audi A8. Bison è l’amministratore unico del “Gruppo Bison srl”, amministratore di fatto delle società “Consorzio Edilveneto” ed “Edil 2004 srl”. Tutte società sottoposte a verifiche fiscali. Torniamo al parcheggio: Bison e sua moglie escono dall’auto sotto gli occhi dei Finanzieri guidati dal generale Alberto Reda. E i finanzieri notano alcuni dettagli: “mentre il Bison ha le mani libere, la moglie si sistema bene sulla spalla destra una borsa, rigonfia, di colore azzurro con decorazioni floreali di vari colori”. Eh sì, i finanzieri, quando ci si mettono, sono davvero precisi. Ma andiamo avanti. I due entrano nel portone di casa Borrelli che, lo ricordiamo, è un dirigente dell’Agenzia delle Entrate di Venezia – fino al 31 maggio 2015 – attuale direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Pesaro e Urbino. Pochi minuti dopo l’ingresso i due sono di nuovo in strada e si “dirigono verso la propria autovettura per ripartire”. I finanzieri continuano ad annotare: “Bison ha sempre le mani libere, mentre la moglie, sorretta alla spalla destra, tiene la borsa di colore azzurro”. Qual è la differenza rispetto a pochi minuti prima? La borsa ha uno “spessore decisamente più sottile rispetto a quando era entrata… il che significa che aveva lasciato delle cose a Borrelli”. I militari non mollano la postazione. E appena 9 minuti dopo vedono uscire Borrelli che “tiene con la mano destra una borsa nera e due involucri, uno verde e uno arancione”. Borrelli entra in auto. E nell’auto c’è una microspia. Gli inquirenti incrociano i movimenti, annotati dai finanzieri, con l’intercettazione ambientale in auto. E negli atti scrivono: “Si ha la conferma che in quella borsa rigonfia all’entrata… c’erano dei soldi consegnati a Borrelli”. In effetti, qualche sospetto, gli investigatori già ce l’avevano. A settembre intercettano alcuni messaggi tra Borrelli e Massimo Esposito. Chi è Esposito? Il direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Venezia. “Sono trenta non cinquanta”, scrive Esposito a Borrelli, che risponde: “Non li ho contati”. A quel punto Borrelli manda un messaggio a Bison: “Aldo scusa, ma quanti erano?”. Nel frattempo Esposito incalza: “Li ho contati due volte, mancano venti”. E così, quando scopre che erano 50 mila, Borrelli si scusa: “Tutto ok, erano caduti in auto. Scusa la cazzata”.

 

Tariffe predeterminate e concorrenza tra funzionari

“Corruzione ambientale sistematica”

Di “cazzata” in “cazzata”, però, il sistema s’era oliato. Non soltanto a detta dell’accusa, ma anche del tribunale del Riesame: “Vi è prova inattaccabile – si legge negli atti – d’un sistematico mercimonio, da parte dei pubblici ufficiali addetti all’Agenzia delle Entrate di Venezia, delle pubbliche funzioni da loro indegnamente rivestite e gestite attraverso il mercanteggiamento delle pratiche a loro affidate… con tanto di tariffe predeterminate”. Avete letto bene: “tariffe predeterminate”. E ancora: “La situazione è talmente grave e diffusa – continua il giudice – che gli stessi pubblici ufficiali corruttibili si pongono in libera concorrenza tra loro… si verte quindi in un’ipotesi di corruzione ambientale… in cui sono coinvolti imprenditori, funzionari dell’Agenzia e ufficiali della Gdf”. Eh sì, anche un colonnello della Gdf. È il caso di Vincenzo Corrado: e così, durante l’inchiesta, la Gdf di Venezia incastra anche un suo stesso ufficiale. L’intero sistema, scoprono i pm Ancilotto e Buccini, prevedeva “il pagamento di centinaia di migliaia di euro, a fronte di abbattimenti degli importi contestati anche fino al decuplo”.

Nel caso del gruppo Bison, per esempio, Esposito e Borrelli sono accusati di aver “ricevuto 140 mila euro, con promessa di altri 160 mila”. Per il gruppo in questione era emerso “un debito totale con l’erario… di oltre 50 milioni di euro” ma Borrelli “prometteva un intervento di Esposito per chiudere il contenzioso tributario, relativo agli anni 2008, 2009 e 2010, con un versamento rateale di una cifra di poco superiore agli 8 milioni di euro”. Centinaia di migliaia di euro. A fronte di decine di milioni destinati allo Stato. I pm Ancilotto e Buccini, che con l’inchiesta sul Mose hanno fatto rientrare nelle casse dello Stato circa 70 milioni, s’immagina che anche in questo caso potranno fare lo stesso. A patto di chiamare un fabbro. Eh già, perché per sua stessa ammissione, Esposito aveva nascosto i soldi delle mazzette all’interno del corrimano in alluminio della scala a chiocciola di casa sua.

7 – CONTINUA

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A questo ciclo di 8 puntate hanno lavorato Fabrizia CaputoFrancesco CasulaVincenzo IurilloGiuseppe Lo BiancoLucio MusolinoValeria Pacelli e Andrea Palladino. Coordinamento: Antonio Massari. I lettori potranno mettere la loro impronta a questo progetto inviando segnalazioni per nuove inchieste all’indirizzo mail red.inch@ilfattoquotidiano.it

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