Perché la Carta va difesa

La rivoluzione gentile della Costituzione. Luca Sommi spiega perché “La più bella” va difesa

Sciagura prossima - La legge fondamentale trae tuttora la sua forza dai cosiddetti contrappesi che la abitano. Ma ora, se dovesse ridursi il potere del capo dello Stato, verrebbe meno una di queste architravi

23 Aprile 2024

Lo dicono i più insigni costituzionalisti, lo può dire ogni cittadino che, leggendo la Carta, non riesce a trovarne corrispondenza nella sua vita di tutti i giorni: l’attuazione della Costituzione non si è mai compiuta.

Uno dei più illustri giuristi del XX secolo, Costantino Mortati, disse che “la forza di rottura, potenzialmente contenuta nel testo costituzionale, non ha trovato energie sufficienti per metterla in opera”. Come dire che gli ideali di rinnovamento che avevano dato vita alle lotte della Resistenza non riuscirono a mantenere la loro intensità “e con essa l’unità delle forze che si erano raccolte intorno”. Eppure lo abbiamo visto più volte il popolo italiano far quadrato attorno alla Costituzione, impegnarsi con l’unico strumento diretto – il referendum – a cancellare tutti i tentativi di attacco alla Carta. Un popolo, quello italiano, che sembra mostrare ancora una fede nella forza propulsiva di quei principi fondamentali, ma non solo.

Lo diceva una grande costituzionalista come Lorenza Carlassare: “Una fede fondata se oggi tanti si impegnano nella ‘lotta per la Costituzione’, associata alla deriva presidenzialista”. Eh sì, perché il problema è proprio qui, nel desiderio mai celato di certa classe politica di avere “pieni poteri”, di ricondurre tutto a un capo. La Costituzione, nella sua interezza, trae ancora la sua forza dai cosiddetti contrappesi che la abitano, e se dovesse perdere forza l’istituzione del Presidente della Repubblica verrebbe meno uno di questi architravi – cosa inevitabile con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, anche se chi vuole questa riforma dice il contrario. E tra la sparizione della forza dei cosiddetti corpi intermedi – associazioni, sindacati, partiti, etc – e il desiderio di avocare il potere in mano a un solo “condottiero”, allora sì che la forza ancora inesplosa della nostra Costituzione potrebbe trovare il suo capolinea definitivo. Parlare di attuazione e non di revisione significherebbe parlare a un nuovo umanesimo, scevro di vecchie impronte ideologiche e capace di ridare forza – quella forza a cui si alludeva prima – a quella indignazione che da sola può ribaltare lo status quo.[…] Demandare tutto al “sindaco d’Italia”, come dice qualcuno, significa andare nella direzione opposta a quell’umanesimo auspicato dalla carta fondamentale. E che ancora non si è visto, che è ancora oggi nella sua infanzia – in attesa della tanto agognata maturità. Il nuovo umanesimo dovrebbe essere accompagnato da una ritrovata vitalità dei corpi intermedi, fondamentali per la vita democratica, e uno spirito attivo che parta dalla cittadinanza. Come dice il filosofo Stefano Bonaga: “Non chiediamoci cosa può fare la politica per noi, ma cosa possiamo fare noi per il bene comune, di cui facciamo parte”.

Cittadinanza attiva e partiti politici attivi, non meri destinatari di richieste o, peggio, ciò che profetizzava Enrico Berlinguer nella sua riflessione sulla questione morale: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’”. Non sono più organizzazioni del popolo, e per di più di un popolo che oggi vive il disincanto nel vedere l’impotenza della politica. Che nell’ultimo trentennio è stata oscurata da un’ideologia fondata sul “liberismo”, e sulla “deregolazione finanziaria”, allontanandosi sempre più dai principi costituzionali. Come il diritto alla salute ribadito dall’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Cure gratuite, ma è davvero così? Sì, fortunatamente, però se poi devo aspettare mesi per essere operato, al pronto soccorso rimango su una lettiga in corridoio o ci vuole un anno per fare un’analisi, significa che qualcosa non funziona. Non sarà che è stata presa un’altra strada? Quella della privatizzazione della sanità? I diritti svenduti al mercato, anche quelli che ieri mai avremmo pensato alienabili, per ridirla alla Marx.

Una subalternità culturale che andrebbe abbandonata per riscoprire la bellezza della convivenza, fondata sul soggetto e non sull’oggetto. È ora di riprendere quel cammino tracciato dalla nostra Costituzione, fatto di dignità, legalità, onestà, giustizia, altruismo, solidarietà. L’emancipazione della persona e non il suo assoggettamento al mercato, cittadini e non più clienti.

Riprogettare la vita, i suoi vecchi paradigmi, ripensarli e non avere paura di cambiarli. Non serve l’ennesima prova di forza per “entrare nella Storia” cambiando radicalmente la Costituzione. Serve la prova di forza di cambiare questo mondo storto, fatto ancora di gas, petrolio, guerre, sopruso su animali e ambiente, cinismo, arrivismo, pandemie. Non serve un capo, serve una coscienza collettiva consapevole di andare verso il bene, che è tutto già prescritto nella nostra Costituzione. Non serve più lo scontro, l’attacco, la rabbia. Servirebbe una vera rivoluzione, una rivoluzione gentile. Quella che ha fatto la nostra Costituzione. La più bella del mondo.

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