Nascite in calo, la matematica dice di pensare agli emigranti

Di Sottosopra*
4 Aprile 2024

Una modesta proposta: al posto dei test psicoattitudinali per i magistrati, introduciamo quelli di aritmetica per chi governa. Basterebbe saper fare di conto infatti per comprendere cosa significhi davvero l’ultimo report dell’Istat che rileva appena 379 mila nascite in Italia nel 2023: record negativo da quando esistono le serie storiche. Sommati agli 1,3 milioni di ragazzi che hanno abbandonato il Paese in dieci anni, è evidente – a meno di non credere nella sostituzione etnica – che il problema di Giorgia Meloni non è affatto l’immigrazione incontrollata, ma piuttosto l’emigrazione desiderata. Persino alla destra più retriva, sorda alle ovvie ragioni etiche per accogliere chi scappa da bombe, carestie e disastri naturali, è sufficiente la matematica per sapere quanto bisogno abbiamo di persone vitali, motivate e desiderose di migliorare la propria condizione per evitare lo spopolamento, cioè il declino.

Invece, per restare ai conti, è fresco il bando da 34 milioni per tenere lontani dal patrio suolo circa 1.000 migranti al mese (secondo stime e presupposti tutti da verificare), trasportandoli e detenendoli in Albania con un costo di circa 90 euro al giorno a testa: e dire che c’è stato un tempo in cui la classe politica oggi al governo riteneva 35 euro di spesa giornaliera uno scandalo intollerabile. Ma i soldi sono un dettaglio di fronte all’inedita opportunità. La destra nazionalista ha l’occasione di fare da apripista al nuovo corso dell’Unione europea, pronta ad abbandonare quel che resta della propria umanità per abbracciare l’esternalizzazione delle frontiere, insieme a nuove pratiche punitive per domande di asilo, rimpatri e ricollocamenti, come soluzione strutturale a una inesistente emergenza. Quanto inesistente sono ancora una volta i numeri a certificarlo: nei primi undici mesi del 2023 – ricorda il libro Quale Europa (Donzelli), prodotto dal Forum Disuguaglianze e Diversità – Frontex ha contato 355 mila arrivi, pari allo 0,07% della popolazione europea. Eppure, prosegue il volume, il nuovo Patto per le migrazioni della Ue annovera tra i suoi cinque pilastri “La risposta alle crisi migratorie”, con meccanismi di trasferimento di persone da uno Stato all’altro per “alleggerire la pressione” (l’alternativa è un contributo finanziario in proporzione al Pil), senza definire in alcun modo cosa costituisca una “crisi”. Parallelamente, si concede ampia flessibilità nel valutare le domande di asilo, con procedure che consentono di bollare come pericolo per la sicurezza coloro che mentono alle autorità, ed eccezioni per le domande di chi arriva da Paesi considerati sicuri (l’Italia, per fare un esempio, annovera tra i “sicuri” Tunisia, Nigeria e Algeria: serve altro?). Si aggiunge inoltre la possibilità di accordi con nazioni terze, sia per bloccare gli ingressi sia realizzando strutture detentive e sistemi di frontiera, proprio come l’Italia si sta precipitando a fare in Albania. Il risultato concreto è creare nuovi confini per tenere lontani uomini e donne di cui abbiamo disperatamente bisogno, e per cui esistono pochissime vie d’accesso legali.

Il tutto con enormi rischi – forse la certezza – di compromettere il loro diritto a domandare una nuova esistenza. Il Parlamento europeo che eleggeremo l’8 e il 9 giugno avrà la possibilità di emendare o confermare questo miope Patto, e dovrà vigilare sulla sua applicazione, assicurandone la coerenza con le politiche di cooperazione internazionali, con quelle di integrazione e con la copertura per i migranti del welfare nazionale, da cui spesso sono esclusi. Le destre peggiori – capofila quella italiana – hanno fiutato l’occasione per l’ennesima crociata anti-stranieri. Ma la cittadinanza, attraverso il voto, ha ancora il potere di farla sfumare, per evitare strumentalizzazioni intollerabili, disumane e persino autolesionistiche.

* Per il Forum Disuguaglianze e diversità

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