L’intervista

Manetti bros: “Noi, liberi e antiborghesi. Un po’ in stile Diabolik”

I fratelli registi - Alla Festa di Roma il terzo film dedicato al celebre fumetto

20 Ottobre 2023

Antonio e Marco, al secolo i Manetti bros., finalizzano la trilogia dedicata al genio del crimine partorito nel 1962 da Angela e Luciana Giussani: Diabolik chi sei? è alla Festa del Cinema di Roma e dal 30 novembre in sala. Parlano all’unisono, forti di una fratellanza battezzata sul grande schermo trent’anni orsono (Consegna a domicilio, 1994) e di un imperativo morale: “La libertà non ha prezzo, e nemmeno budget”.

Manetti, perché Diabolik?

È il fumetto con cui siamo cresciuti, un pezzo della nostra vita. Ed è l’unico italiano suscettibile di un film nazionale, perché gli altri sono ambientati in America, Francia, Jamaica, Mar dei Caraibi. Originariamente piazzati in Francia, Diabolik, Eva Kant e l’ispettore Ginko si ambientano a Clerville, una fantomatica città che piano piano – le Giussani si liberano – diventa italiana.

Un Diabolik autarchico, di più, sovranista.

(Ridono) Figuriamoci, lui lo Stato lo odia, è un ribelle, altro che sovranista.

Qui cala la maschera, e pure la cortina sul passato.

Il film rispecchia l’albo numero 107, dove le Giussani spiegano il Re del Terrore senza spiegare chi sia, assecondando la fascinazione del lettore. Analogamente, stendiamo un mistero profondo sul personaggio: a Ginko risponde “io non so chi sono”. È una back-story, il suo romanzo di formazione.

Non spara.

Abbiamo tutti bisogno di pace. Tra Ucraina e Russia, Israele e Palestina, noi Manetti siamo sempre dalla stessa parte, quella della pace.

In che cosa lo rassomigliate?

Siamo un po’ cervellotici, condividiamo freddezza analitica e logica. E poi, nonostante le malefatte, Diabolik ci trascina per la sua libertà antiborghese, che è il suo vero contenuto: essere fuori dalle convenzioni.

Autodeterminazione femminile: Altea (Monica Bellucci) Ginko (Valerio Mastandrea) ed Eva (Miriam Leone) Diabolik (Giacomo Gianniotti), sono le donne a salvare gli uomini.

È una nostra caratteristica, basti vedere i film che abbiamo scritto in proprio: la forza della donna l’abbiamo nel Dna. Altea l’abbiamo aggiunta, per rincarare la dose femminista.

Una cosa che prendereste a Diabolik, una che gli dareste?

Prenderemmo il fascino, gli daremmo compassione. Non ce l’ha proprio, non ha cattiveria ma nemmeno pietas. Noi ci identifichiamo in Eva, che in tutti e tre i film prova a insegnargliela, senza esito: è un uomo cresciuto senza amore.

Sinceri, meglio Luca Marinelli del primo Diabolik o Gianniotti degli altri due?

Meglio Marinelli nel primo, meglio Gianniotti nel secondo e terzo.

Bella battuta, ma ci siete rimasti male che Marinelli se ne sia andato.

Ci è dispiaciuto molto. Questione di tempistiche, noi non volevamo passare con Diabolik più di quattro anni della nostra vita, Luca aveva altri progetti e pensava a un sequel più in là. Trovare Giacomo (italiano naturalizzato canadese, rivelato da Grey’s Anatomy, ndr) è stata una botta di culo, in Italia – a parte Luca – uno così non c’è: ci manca un attore insieme empatico e oscuro.

Oggi i Manetti bros. chi sono?

Anzianotti mai cresciuti, produttori – a Roma portiamo La guerra del Tiburtino III di Luana Gualano – si spera maturati abbastanza, e registi maturati si spera non troppo. Cerchiamo di rimanere bambini, come Scorsese, anche nel nuovo film, che è un ritorno totale all’infanzia: una commedia calcistica ambientata a Palmi, il paese della nostra mamma, dove un professionista riscopre tra i dilettanti l’amore per il pallone.

Le scommesse?

La Serie A non è più un gioco, i calciatori non trovano il brividello che ti dà lo sport e lo cercano scommettendo online.

Al di là di quella tra i sessi, c’è una questione di genere in Italia?

La parola genere non ci piace, perché l’Italia è ossessionata dai generi. Anche nel sesso, è un Paese fortemente e stranamente maschilista. Noi diventiamo registi di genere perché i nostri film non appartengono agli unici tre generi che il nostro cinema si permette: commedia, denuncia sociale, dramma familiare. Se fai qualunque altra cosa, non sei serio e ti bollano regista di genere: problema, come la mettiamo con Hitchcock, Kubrick e Spielberg?

Il vostro film preferito?

Piano 17, ha definito quel che siamo: nella forma e nella sostanza. Dicono, i Manetti non vogliono girare con troppi soldi: non è così, se Diabolik lo ruberebbe, noi il budget non lo vogliamo a prezzo della libertà.

Un film altrui che v’è piaciuto?

Io capitano, è un grande film d’avventura, non ideologico né politico. Che l’abbia fatto un regista italiano, un autore quale Matteo Garrone è molto bello.

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