Periferico Festival

Uno, nessuno, centomila modi di essere madre: il sangue non è l’unico sinonimo di amore

Dal 13 al 29 ottobre - A Modena torna la manifestazione internazionale che porta l'arte nello spazio urbano. Tra le molte tematiche proposte, una riflessione toccherà il tema della Maternità

Di Serena Terranova, curatrice Collettivo Amigdala
11 Ottobre 2023

Torna a Modena, dal 13 ottobre, Periferico Festival, la quindicesima edizione della manifestazione internazionale che porta l’arte nello spazio urbano e che proseguirà per tre fine settimana fino al 29 ottobre. Riprendendo il pensiero di Diana Taylor, autrice di ¡Presente! ed esperta statunitense di studi sulla performance, in questa edizione 2023 si attraverseranno declinazioni possibili dell’attivismo politico e culturale a cui l’esortazione richiama, incontrando linguaggi e formati dedicati ai luoghi e alle comunità. Tra le molte tematiche proposte, una riflessione toccherà il tema della Maternità in tutte le sue forme che verrà indagata dalle artiste e degli artisti che parteciperanno al festival con pratiche performative site-specific, volte ad abitare luoghi non teatrali con interventi che valorizzano gli spazi e i loro significati. Ospitiamo un intervento di Serena Terranova, curatrice del Collettivo Amigdala.


“Chiedersi dove comincia e finisce l’io non è semplice come può sembrare a prima vista”. Questa e molte altre parole di Merlin Sheldrake disseminate nel suo L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi (Marsilio, 2022) guidano il pensiero di Amigdala in una lettura trasversale del festival che sta nel filo delle relazioni. Nelle loro forme di vita “entangled”, ovvero intrecciate, connesse, legate tra loro anche quando tra due entità corrono significative distanze fisiche, i funghi e il loro ecosistema assomigliano fortemente alla vita che un festival come Periferico è in grado di generare, e si fanno anzi creature ispiratrici di come sostenere le varie parti in causa a entrare in dialogo, per costruire e mantenere legami inaspettati.

Ma questa frase di Sheldrake sembra riferirsi anche a molte altre cose. La vita dei funghi, creature terrestri che ci vivono accanto, vicino, addosso, fa esplodere metafore relazionali che possono stimolare profondamente una diversa concezione dei legami di sangue.

In questa proposta di sconfinamento dell’io, in cui il limite tra me e un altro non arriva mai in maniera definitiva, il legame familiare sembra apparire in maniera lampante. È stato detto, forse più volte, a molte e molti di noi, quanto assomigliamo a un genitore, nei tratti o nei gesti, nelle espressioni o nel modo di pensare. Eppure, anche nella forza di questi legami, ogni creatura è se stessa fino in fondo, pur emanando similitudini con chi la precede o con chi le consegue.

Sia io stessa madre o figlia o entrambe le cose, a partire da me si diramano fili di interconnessione, canali di comunicazione che spesso mi permettono di usare meno parole (con mia madre capita che basti un respiro al telefono per comprendere un intero discorso) ma si aprono anche strade di lotta, di emancipazione e talvolta di diffidenza verso quello “stampino” da cui si pretende che io provenga.

Capita anche, però, che la biologia non copra tutte le possibilità, e le strade che generano parentele materne si rivelano molteplici. Anche madri non biologiche possono avere legami telepatici con le creature che crescono nella loro vita e accanto al loro corpo. Accudimento, tempo insieme, apprendimento dei bisogni reciproci costituiscono solo alcuni degli elementi che rinforzano quella connessione. A chi scrive tutto questo è accaduto, anche se in forma non esclusiva poiché condivisa, con grande cura e fortuna, insieme alla madre naturale, e accade tuttora. I pezzi che si perdono nel mancato legame post parto forse non si recupereranno mai del tutto, perché per il corpo (e anche questo è capitato a chi scrive) in quell’esperienza porta la donna al limite della propria coscienza e della propria vita in una misura e intensità che non si verifica altrimenti e che è condivisa per intero con la creatura che nasce. Eppure, anche saltando quel doloroso passaggio, il legame tra una madre e una figlia acquisita ha una sua chance reale, ovvero calata nella realtà. Del quotidiano, della fatica di crescere e degli obiettivi più piccoli e virtuosi a cui corrispondere al di là del “come abbiamo fatto a ritrovarci qui”. Perché l’essere insieme, presenti, costituisce l’alleanza primaria da cui procedere verso il futuro.

Saltando il passaggio, da molti considerato fin troppo obbligatorio e doveroso, del legame di sangue, si apre una vastità di occasioni per gli esseri umani.

Le “Kin” di Donna Haraway nel suo Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (Nero edizioni 2019), ovvero quelle parentele non necessariamente biologiche che nascono per scelta, per affinità, per amore, descrivono proprio queste occasioni raccontando uno scenario di futuro possibile.

Collettivo Amigdala ha affrontato di petto questo concetto costruendo un’esperienza di “parentele inedite” sotto il nome di una performance che ha proprio il nome di KIN. Tredici donne per nove mesi (l’esatto periodo di una gestazione umana) hanno lavorato fianco a fianco raccontandosi le proprie storie di ri-esistenza. Una parola che prova a liberare la resistenza dal suo senso antagonista valorizzando la presenza, tutta femminile, di un’esistenza che si rifà, che si rimette in gioco. Non si nasce una sola volta, e in questo dispositivo circolare basato sull’ascolto reciproco, tra canti, parole sussurrate e movimenti dentro e fuori da un cerchio di sedie che ricorda assemblee o sedute di autocoscienza, il pubblico è invitato ad assistere a un’emersione sempre diversa di uno spettacolo che si fa nell’esperienza dell’ascolto, e che può mutare radicalmente da una replica all’altra.

Quello che questo cerchio di donne trasmette è qualcosa che il femminismo ci insegna da tempo, ovvero che la sorellanza (altro legame parentale normato biologicamente, pure con le sue variabili spregiative in sorellastre e fratellastri) non è data dalla condivisione di un utero materno ma si muove concretamente tra le donne.

A camminare di notte, nelle nostre città, può venire facilmente il desiderio di non essere sole e di sperare, davvero, di incontrare altre donne come noi, come ci racconta Valentina Medda, autrice di Cities by Night, un progetto estremamente acuto e delicato su questo tema.

Ma, tornando all’immagine materna che ci suggerisce quell’io sconfinato di Sheldrake, è sicuramente Daughters di Teodora Grano che ci riporta nella dimensione terrestre del nostro presente, dove la maternità non biologica si manifesta in tutta la sua attuale introspezione. Le figlie sono tutte dentro di lei, danzatrice e coreografa di un solo breve e lampante e in cui i gesti, la direzione degli occhi e le parole proiettate sul fronte della scena si accumulano attorno a domande: cosa vuol dire avere una figlia? Esserlo? Avere figli?

Come molte donne, di cui esiste una narrazione ancora parziale, ma che certamente troverà il suo corso nel futuro, le madri delle cosiddette famiglie allargate si muovono come creature ancora aliene tra chi, invece, ha avuto l’occasione di generare un figlio o una figlia dal proprio corpo.

Senza l’esperienza del parto a fare da connettore tra i due corpi, sembra che né madre né figlia possano essere definiti tali. E questo vale non solo per un cosiddetto terzo genitore ma anche per tutte quelle coppie omosessuali, dove il parto è di una sola o di una terza donna.

Non è naturalmente possibile in questo contesto (e in nessuno, a dire il vero) generalizzare su come la maternità non biologica abbia o meno un diritto di esistere (anche perché, di fatto, esiste, a dispetto di tanta politica e di tanta religione) ma è interessante, per un festival come Periferico, dare la possibilità a questi corpi di avere la propria voce e il proprio diritto di parola all’interno di un progetto che si radica nella città e che vede nel festival la traduzione in opera di un discorso. Un discorso che si realizza attraverso l’accordo di più voci, mettendo in dialogo artiste, professionisti, pubblici, comunità e le vite e le biografie di persone.

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