L’intervista

Post-democrazia, Colin Crouch: “Votiamo, ma le decisioni importanti sono prese altrove”. Su FQ MillenniuM in edicola

Il politologo - Sul nuovo numero del mensile diretto da Peter Gomez una lunga intervista al sociologo britannico che vent'anni fa lanciò l'allarme sul declino della democrazia in Occidente. "All'epoca fui ispirato da Berlusconi". E oggi? “In Italia avete un governo che non è il risultato dei voti, ma di regole elettorali che producono maggioranze ‘false’”

6 Ottobre 2023

Sono passati vent’anni da quando, nel 2003, il sociologo e politologo britannico Colin Crouch scrisse il libro Post-Democrazia, dove – ispirato anche dalla figura di Silvio Berlusconi – sosteneva che nei Paesi democratici il dibattito elettorale stava diventando “uno spettacolo saldamente controllato” da “esperti nelle tecniche di persuasione”, che dettavano i temi da lanciare o da silenziare. La democrazia veniva via via svuotata dallo strapotere di grandi gruppi economico-finanziari globali, mentre i partiti tradizionali, con la fine delle ideologie e il calo del sentimento religioso, scadevano nel leaderismo e nel marketing politico. E perseguivano il rapporto con le élite economiche più che con i cittadini. Negli anni a seguire, la post-democrazia si è dimostrata una potente chiave di lettura del nostro tempo. FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, dedica a questo tema il numero in edicola da sabato 7 ottobre. Ripartendo proprio da una lunga intervista al professor Crouch, di cui anticipiamo qualche brano.

Come definirebbe oggi la post-democrazia?

La post-democrazia indica una situazione dove tutte le forme della democrazia continuano a funzionare, ma sono diventate un rituale, perché le decisioni importanti sono prese altrove, tra le élite politiche ed economiche. Non ho mai detto che nei Paesi avanzati siamo già nella post-democrazia, perché le nostre politiche sono ancora vivaci, ma che andiamo in questa direzione.

In quali Paesi, oggi, vede più forte l’affermarsi di tendenze post democratiche?

In tutti! Ma forse soprattutto negli Stati Uniti, dove l’influenza delle lobby è particolarmente forte, e dove la partecipazione alle urne è più bassa che nella maggioranza dei Paesi dell’Europa occidentale.

Può fare qualche esempio di decisioni su grandi temi che, in tempi recenti, secondo lei sono state prese passando sopra le democrazie nazionali?

La deregulation dei mercati finanziari negli anni 90, che ha condotto alla crisi degli anni dopo il 2008. Fu il prodotto di una pressione delle grandi banche sul governo americano, non il frutto di una discussione nei Parlamenti occidentali e nell’Unione europea.

Quali poteri alternativi alla politica vede crescere maggiormente oggi?

Nelle nostre economie dominate dalle grandi imprese globali, i governi di diversi Paesi si fanno concorrenza per attrarre i loro investimenti. Così riducono la tassazione alle aziende, sottraendo risorse ai cittadini e ai servizi pubblici, tagliano gli investimenti nella sanità e nella salvaguardia dell’ambiente, riducono il costo del lavoro, ma anche la sicurezza di chi lavora. Questa concorrenza ruba poteri al mondo politico e sociale a favore di quello economico.

L’anno prossimo si voterà il nuovo Parlamento dell’Unione europea. Secondo lei i suoi poteri andrebbero rafforzati, per dare più peso al voto degli elettori?

Sì. Un’innovazione particolarmente preziosa sarebbe l’elezione della Commissione da parte del Parlamento. Questo cambiamento renderebbe più forte la democrazia dell’Unione e incoraggerebbe una collaborazione più stretta tra i partiti nazionali nel parlamento.

Fin dagli anni Settanta, lei ha un saldo rapporto con l’Italia, come studioso e non solo. Quando scrisse Post-democrazia prese ispirazione anche dalle vicende politiche e sociali italiane?

Sì. Ho scritto il libro quando lavoravo all’Istituto universitario europeo a Firenze. Una figura che mi influenzò nella formulazione della teoria fu Silvio Berlusconi. Fino agli anni 90, l’Italia possedeva partiti, particolarmente la Dc e il Pci, forse “troppo” fortemente radicati nel popolo. Poco cambiava tra un’elezione e un’altra. Poi, dopo le vicende di corruzione che colpirono la Dc e il Psi, e dopo la fine dell’Unione Sovietica, tutto crollò, velocemente. Esisteva un vuoto. Berlusconi riempì una parte di questo vuoto con il suo partito nuovo, Forza Italia. Che si affermò non grazie a un radicamento nella società italiana, ma grazie alle sue imprese. Un partito-azienda, come si diceva spesso in Italia. Fu un fenomeno perfettamente post-democratico.

Al governo cosiddetto tecnico di Mario Draghi è succeduto un governo benedetto da un ampio consenso elettorale, guidato da una presidente del Consiglio cresciuta nelle sezioni di periferia del suo partito. Al di là dei giudizi politici sul governo Meloni, la vede come una vittoria della democrazia sulla post-democrazia?

Ma l’Italia ha oggi una situazione che assomiglia a quel che spesso accade da noi nel Regno Unito: una maggioranza che non è il risultato dei voti dei cittadini, ma di regole elettorali che producono maggioranze “false”.

Leggi l’intervista completa su FQ MillenniuM in edicola o sul nostro shop da sabato 7 ottobre

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