Nadef

Subito una “manovrina” per migranti e pensioni finanziata con 3,2 miliardi di deficit

Disavanzo - In arrivo un decreto coi 3,2 mld di extra-deficit 2023. Testo alle Camere, ora trattativa con l’Ue

1 Ottobre 2023

In attesa della manovra finanziaria per il 2024 si scopre a sorpresa che ce ne sarà una già nel 2023, ancorché per una volta non per tagliare. Lo si evince dalla Relazione al Parlamento con cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha inviato alle Camere la Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza di aprile, il documento in cui il governo traccia il quadro triennale dei conti pubblici: 3,2 miliardi di maggior disavanzo nel 2023 “attraverso un provvedimento d’urgenza, saranno destinati al conguaglio anticipato dell’adeguamento Istat per i trattamenti pensionistici previsto per l’anno 2024, a misure per il personale delle pubbliche amministrazioni e alla gestione dei flussi migratori”.

In sostanza un po’ di soldi saranno destinati all’emergenza sbarchi, magari proprio ai nuovi Cpr per i richiedenti asilo a cui lavora il ministero dell’Interno, il resto alle pensioni e probabilmente a interventi per il personale della sanità, che va convinto coi soldi a non lasciare il posto, come invece accade sempre più spesso: gli altri lavoratori pubblici, a meno di assai improbabili sorprese nella manovra di ottobre, vedranno anche quest’anno solo l’indennità di vacanza contrattuale, visto che la Nadef continua a registrare una stima per i “redditi da lavoro dipendente” – cioè gli stipendi dei tre milioni di dipendenti pubblici – in calo sia a livello nominale (188,7 miliardi quest’anno e 186,6 miliardi il prossimo) che in rapporto al Pil (dal 9,2 all’8,8%).

Sorprenderà qualcuno sapere però che le spese totali dello Stato, secondo la Nadef, nel 2024 saranno inferiori di una decina di miliardi a quest’anno: “merito” del comparto “spese in conto capitale”, cioè gli investimenti, in cui spenderemo meno di quanto previsto ad aprile e non solo per la fine del Superbonus. È l’effetto della famigerata “rimodulazione” del Pnrr che Raffaele Fitto sta faticosamente discutendo con Bruxelles: eppure, scrive Giorgetti nella Nadef, è proprio al Piano di ripresa che il governo si affida per avere nei prossimi anni “ritmi di crescita nettamente più elevati rispetto a quelli dello scorso decennio”, l’unico modo per non finire nei guai. Lo scrive anche l’Ufficio parlamentare di bilancio validando le stime del governo: al netto dei forti rischi di andamento al ribasso dell’economia, “l’ipotesi alla base delle previsioni è che vi sia l’integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo dei fondi del Pnrr”.

Quanto al resto non ci sono molte sorprese nella Nadef rispetto alle anticipazioni di cui abbiamo dato conto nei giorni scorsi. Il governo, prima di approvare la manovra, chiede ora al Parlamento di approvare lo scostamento di bilancio richiesto (a partire da quello su quest’anno per scaricare tutti i bonus edilizi in un colpo solo), liberando così risorse in deficit “pari a 3,2 miliardi nel 2023, 15,7 miliardi nel 2024 e 4,6 miliardi nel 2025”. Nel prossimo biennio quelle “risorse saranno utilizzate, nell’ambito del prossimo disegno di legge di bilancio, per il taglio al cuneo fiscale sul lavoro anche nel 2024 (costo 9 miliardi, ndr) e l’attuazione della prima fase della riforma fiscale” (l’estensione dell’aliquota Irpef del 23% fino a 28mila euro di reddito, che costa 4 miliardi) e altre cosette tra cui “il sostegno alle famiglie e alla genitorialità” chiesto da Giorgia Meloni per cui è allo studio una “misura innovativa” (vedi il box in pagina).

In generale, come abbiamo scritto in questi giorni, è un bilancio di piccolo cabotaggio e per di più appeso al filo di previsioni di crescita lusinghiere che tengono in piedi una baracca di numeri che si spera di far ingoiare alla Commissione Ue: per questo è corposo il capitolo della Nadef dedicato a spiegare come e perché l’Italia, pur aumentando il deficit previsto, stia rispettando i vincoli sia quanto al disavanzo strutturale (l’obiettivo di medio termine) sia quanto alle linee guida di Bruxelles basate sulla sua proposta di riforma del Patto di Stabilità (quella che punta sul contenimento della spesa corrente e i piani pluriennali). Che sia vero o meno, poco importa: la decisione sarà presa in base al peso politico e quello del governo Meloni non è altissimo.

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