Reportage/5

Vladivostok, prova d’amore dei russi per i propri soldati

La capitale della frontiera orientale - Come allo stadio. In Occidente si portano i figli alla partita, qui alle sfilate della Marina. E c’è chi si arruola volontario per l’Ucraina

10 Novembre 2022

La mano destra della statua di Lenin al di fuori della stazione di Vladivostok indica il porto dove sono ormeggiate le navi da guerra e i sommergibili nucleari che compongono la flotta del Pacifico. Qui arrivano le navi cargo cinesi, vietnamite e panamensi colme di macchinari industriali, elettrodomestici e medicinali, e da qui salpano le navi russe con i loro carichi di legname, fertilizzanti, pesci e crostacei dirette, soprattutto, ai porti di Shanghai e della provincia dello Zhejiang. Vladivostok (“Dominatrice dell’est” significa il suo nome) è la porta d’accesso orientale della Russia. Qui termina il suo percorso la Transiberiana, la ferrovia più lunga del pianeta, 9.288 km di rotaie, di cui solo il 20% si trova in territorio europeo. Il resto è Asia. All’inaugurazione dei lavori, nel 1891, partecipò Nikolaj Romanov, all’epoca ancora zarevic. Sarebbe divenuto l’ultimo Imperatore di tutte le Russie tre anni dopo, mentre la costruzione della Transiberiana avanzava di quasi 800 km all’anno.

La caduta di Vladivostok (25 ottobre 1922) viene considerata l’epilogo della guerra civile russa, il conflitto tra bolscevichi e Armate bianche che scoppiò dopo la Rivoluzione d’ottobre. I “bianchi”, movimenti nazionalisti anticomunisti con all’interno frange di nostalgici dello zarismo, vennero sostenuti da gran parte del mondo occidentale. In Europa e negli Stati Uniti, d’altro canto, la presa del potere da parte bolscevica era vista con terrore. A Vladivostok arrivarono truppe americane, inglesi, francesi e persino un Corpo di spedizione italiano. Le truppe italiane partirono da Tientsin dove, a seguito della Ribellione dei Boxer, al Regno d’Italia venne concesso un possedimento coloniale. I soldati lasciarono Vladivostok nel 1919 su decisione del primo governo Nitti. Soltanto 100 anni fa, a Vladivostok, truppe occidentali si scontarono con l’Armata rossa con l’obiettivo, fallito, di delineare un altro futuro per la Russia.

In città, oltre ai consueti memoriali dedicati ai sacrifici sovietici nella Grande Guerra Patriottica, monumenti ricordano la vittoria bolscevica contro le Armate bianche e i contingenti occidentali.

Nel novembre del 1974, a Vladivostok, si incontrarono il presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford, e Leonid Brežnev, Segretario generale del Partito comunista sovietico, per riprendere i negoziati per la limitazione delle arme strategiche, che avevano subito una battuta d’arresto un paio di anni prima. Ford aveva al suo fianco Henry Kissinger, fresco del Nobel per la Pace ottenuto assieme a Lê ĐDuc Thoọ(che lo rifiutò) per gli sforzi che avevano portato alla firma degli Accordi di Parigi, ovvero al ritiro delle truppe americane dal Vietnam. Il mondo era diviso in blocchi e Vladivostok era preclusa agli stranieri. Eppure qui venne trovato un accordo per la dismissione di armi potenzialmente distruttive per l’umanità.

Il palazzo dell’accordo nucleare del 1974. A pochi isolati di distanza dal palazzo teatro dello storico incontro del ’74, Putin, lo scorso settembre, al Forum economico orientale, ha parlato di “cambiamenti tettonici irreversibili” dal punto di vista geopolitico e dell’importanza strategica che sta assumendo l’Asia del Pacifico. All’Eurasia, da queste parti, si guarda sempre meno.

Oggi in molti pensano che la frattura con l’Occidente sia insanabile. Da qui, in linea d’aria, le coste dell’Alaska (49° Stato Usa) sono molto più vicine del Donbass. Il fronte è lontano e la Cina è vicina. Sempre più. Vladivostok si affaccia sul Mar del Giappone mentre le frontiere con Cina e Corea del Nord distano rispettivamente 2 e 4 ore in auto. Mosca è distante, e quando al Cremlino si dorme a Vladivostok si è svegli e si lavora. Soprattutto per dare alla città lo sviluppo che la sua posizione le compete. La separazione tra Russia e Europa, vero obiettivo delle sanzioni, preoccupa relativamente. Qui si guarda alla Cina: se cresce il Celeste Impero cresce Vladivostok.

Il 26 luglio, in Russia si celebra la giornata della Marina militare. Le principali sfilate navali hanno luogo a San Pietroburgo sulla Neva, tra l’Ermitage e la Fortezza di Pietro e Paolo e anche a Vladivostok non si perde occasione di festeggiare, con migliaia di persone che arrivano da tutta la regione. Le navi militari vengono tirate a lucido e abbellite con nastri colorati, sul lungomare passeggiano anziani che hanno servito la Patria, giovani coppie e bambini vestiti da marinaretti portati dai papà a vedere le navi da guerra. È un altro mondo, e a determinarne la diversità non è solo la distanza. C’è la Storia di mezzo.

Cresci tranquillamente” recita uno dei più famosi manifesti di propaganda sovietica. Vi è ritratto un soldato dell’Armata rossa che protegge una bimba che gioca con cubi di lettere e con questi costruisce la frase “per la pace”. Il rapporto che milioni di russi hanno con le forze armate non ha eguali nel mondo occidentale. Dalle nostre parti, i papà portano i figli allo stadio, narrandogli le gesta dei campioni del passato. In Russia sono tanti i padri che raccontano ai loro figli le imprese dell’Armata rossa, i sacrifici fatti e le battaglie vinte, e al posto della bandiera di una squadra di calcio gli regalano quella della Marina militare.

I caroselli di auto vanno avanti per ore nel centro di Vladivostok il giorno della Marina. Le auto strombazzano davanti alla stazione, poi scendono verso piazza Bortov Revolyutsii, oltrepassano il sottomarino S-56, un “sottomarino eroico” che tra il 1943 e il 1944 affondò petroliere e cacciatorpediniere tedesche, e poi salgono verso Zolotoy Most, il ponte sospeso che domina il “Corno d’oro” di Vladivostok. Sembrano i festeggiamenti di uno scudetto, ma qui si celebra la Flotta del Pacifico.

Le immagini dei russi in fuga dal Paese per evitare, comprensibilmente, la mobilitazione hanno fatto il giro del mondo. Quelle dei volontari molto meno. Eppure ci sono anche loro. C’è chi si arruola perché costretto, chi perché succube della propaganda, chi perché spera di tornare a casa con un gruzzolo in tasca e chi perché crede fermamente nell’esercito. Vi è qualcosa di sentimentale che lega una parte del popolo russo alle Forze armate. Sono state soprattutto le imprese dei soldati a forgiare la memoria collettiva russa. Lo dovrebbero comprendere soprattutto coloro che preferiscono operare per la sconfitta militare russa più che per la Pace e che non hanno, evidentemente, ancora compreso le potenziali conseguenze di tale strategia.

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