I numeri dell’astensione, apocalisse democratica

27 Settembre 2022

Il giorno dopo è come sempre dedicato alla matematica. Ora più che mai, visto che la legge elettorale con cui speriamo di aver votato per l’ultima volta, obbliga a complicatissimi conteggi per determinare i seggi tra dispersioni, effetti flipper e trucchetti vari. I vincitori esultano, i vinti, al solito, fingono di non aver perso: tutto come da copione. Ma c’è un numero che già domenica notte avrebbe dovuto allarmare i dirigenti di tutti i partiti, vincitori, vinti e sopravvissuti: è il drammatico calo dell’affluenza, che scende di nove punti rispetto a quattro anni fa. È il dato più basso mai registrato alle politiche, ancor più grave se si considera l’allargamento della platea dovuto alla nuova legge che ha fatto scendere l’età per votare al Senato da 25 a 18 anni.

Secondo il Centro studi elettorali della Luiss, “la diminuzione in punti percentuali rispetto alla precedente tornata è la più ampia della storia repubblicana (dal 72,9% del 2018 al 63,91% del 2022) e nella top-10 dei maggiori cali dell’Europa occidentale dal 1945 a oggi, rendendo l’Italia il quintultimo Paese per affluenza alle urne nella regione”. Oltre cinque punti in media rispetto al 2018, con forti differenze tra il Nord e il Sud del Paese: le percentuali peggiori si attestano in Molise (-15,09%), Campania (-14,89%) e Calabria (-12,85%). In Sardegna, solo un cittadino su due (53%) ha scelto di votare, a Napoli città è andata ancora peggio: ha votato il 49% dei chiamati alle urne. Fra le regioni che registrano il minor calo dell’affluenza ci sono Lazio, Lombardia, Sicilia (dove si è votato anche per le Regionali), Toscana e Friuli-Venezia Giulia. Alle precedenti politiche, secondo le rilevazioni di YouTrend per Sky Tg24, era stato proprio il Sud a trainare i dati di affluenza rispetto al passato. Analizzando le tendenze, l’affluenza scende meno nei comuni dove ci sono più laureati, più occupati e con maggiore presenza di stranieri mentre diminuisce ulteriormente dove c’è maggiore presenza di disoccupati e dove c’è una minor presenza di stranieri. Un esempio arriva da Torino dove nel collegio dei ricchi (Centro-Crocetta) ha votato oltre il 71% degli aventi diritto. Percentuale che frana al 58% nelle periferie di Borgo Vittoria-Lucento-Vallette (quattro anni fa alle Politiche si era presentato alle urne il 73% degli elettori).

In queste lunghissime ore di maratone televisive all’affluenza è stato dedicato solo qualche svogliato cenno, in attesa di conoscere i risultati: i leader s’interessano esclusivamente ai risultati (e ai propri destini personali) e, questo è più inquietante, i commentatori pure. Aleggia nei non detti, l’obiezione di chi sostiene che chi ha vinto ha vinto, e pazienza se hanno votato quattro gatti. È una sciocchezza colossale che difficilmente può essere sostenuta in buona fede perfino dai meno intellettualmente dotati. La disaffezione al voto aumenta sempre più in fretta, è come una valanga che acquista velocità nella discesa verso il baratro. La metafora può sembrare eccessiva, ma non lo è affatto. Il parlamento che uscirà dal pallottoliere del Rosatellum rappresenta meno di due terzi del Paese. E la circostanza più grave è che a essere senza rappresentanza è la parte più povera d’Italia. A forza di ricevere insulti sputati da leader politici che sopravvivono su Twitter e hanno un’idea fantasiosa delle condizioni di vita dei cittadini e da opinionisti che parlano per sentito dire, il popolo si convince sempre di più di essere irrilevante. O forse perfino indegno di essere, come vuole la nostra Costituzione, un attore della vita democratica: permettere che il disprezzo per i cittadini diventasse il centro del dibattito pubblico è una colpa imperdonabile, anche del sistema dei media.

Alla rassegnazione dei cittadini umiliati si aggiungono altri fattori. La lunga stagione dei tecnici, i tentativi di stravolgere l’esito elettorale (nel 2018 avevano vinto le forze anti-sistema: la legislatura si è conclusa con il governo Draghi), una legge elettorale incomprensibile ai più (colpevolmente scritta per chi deve governare e non per chi deve eleggere i parlamentari) sono mine consapevolmente poste sul terreno già fragile della partecipazione. L’affluenza di domenica alza il velo su una doppia tragedia, quella della rappresentanza e quella della disuguaglianza, perché i più poveri stanno rinunciando alla propria voce: è una catastrofe democratica, nel senso più letterale del termine. Nessuno se ne è occupato e nessuno ha intenzione di farlo: e il peggio, stando alle dichiarazioni di Giorgia Meloni sulla Costituzione “bella ma anziana”, deve ancora venire.

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