Trapianti di organi: “Servono più donatori”

Oggi è la Giornata nazionale per la donazione d'organi. Il direttore del Centro nazionale trapianti, Cardillo: "La media di attesa per un intervento è tre anni, bisogna accorciare i tempi"

24 Aprile 2022

Lo scorso anno in circa 400 casi i familiari di persone in fin di vita – o gli interessati stessi, quando in grado di rispondere – si sono opposti alla donazione di organi e tessuti. Corrispondono al 28 per cento, un anno prima erano quasi il 31 per cento. Naturalmente è una scelta rispettabile, per di più compiuta nel momento più drammatico, però 400 donatori possono consentire fino a 1.500 trapianti di diversi organi, quasi il 50 per cento in più di quelli eseguiti in un anno. In Italia circa 8.500 persone aspettano un organo. “Le mediana d’attesa è attorno ai tre anni, è un dato che dovremmo migliorare”, spiega Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti dell’Istituto superiore di sanità (nella foto assieme a Sileri). Quasi seimila persone hanno bisogno di un rene e nel frattempo fanno la dialisi tre volte a settimana, poco più di un migliaio attendono un fegato, 6-700 un cuore, 2-300 polmone e lo stesso per il pancreas.

Serve a questo la Giornata nazionale per la donazione d’organi che cade oggi (domenica 24 aprile) per decreto del ministro della Salute, Roberto Speranza. “Siamo per l’espressione della volontà in vita, non vogliamo che i familiari debbano scegliere al momento del decesso”, dice Flavia Petrin, infermiera e presidente dell’Associazione italiana donatori organi (Aido). Quando si richiede la carta d’identità i Comuni devono invitare a scegliere sì o no alla donazione d’organi, “ma non tutti lo fanno, quelli più grandi sì – osserva Petrin –, altrove bisogna chiederlo espressamente”.

Si può fare anche tramite la stessa Aido, che in sei mesi ha raccolto oltre 10 mila dichiarazioni. Sono a oggi 12,6 milioni gli italiani che hanno formalizzato la loro scelta nel Sistema informativo trapianti: 9,2 milioni di sì e 3,5 milioni di no. Il ministero della Salute e il Centro nazionale trapianti, come anche l’Associazione dei Comuni (Anci), sono mobilitati. “La morte è inevitabile per ognuno di noi. I nostri organi non dobbiamo portarceli nell’aldilà, ma possiamo far felice una famiglia. E’ un atto d’amore verso il prossimo”, ha detto qualche giorno fa il sottosegretario Pierpaolo Sileri. “Il nostro problema è la disparità tra le Regioni, alcune hanno livelli di donazioni paragonabili a quelli spagnoli, per esempio la Toscana, altre soprattutto del centro sud hanno livelli più bassi. E’ un dato storico, per fortuna un po’ migliorato”, spiega Cardillo. La Campania in particolare è salita sopra la media nazionale.

La paura dell’espianto prima del decesso e l’orrore per il traffico d’organi, al di là della scarsa informazione, sono i motivi prevalenti del rifiuto. “La paura che gli organi possano essere prelevati a una persona non ancora morta è un tabù molto facile da sfatare – dice Cardillo – L’accertamento della morte in Italia ha criteri rigorosi, c’è un collegio di medici che lo determina con estrema sicurezza e l’equipe di prelievo è del tutto indipendente da quella che accerta la morte. E le notizie sul traffico non aiutano: c’è un problema in alcuni Paesi, sono documentati nel Centro America e nel Sud Est asiatico, però da noi in Europa queste cose non succedono, c’è un sistema pienamente presidiato e regolato, le procedure per il trapianto da vivente solo molto rigorose. Il trapianto dev’essere autorizzato da una commissione terza, da un giudice che valuta tutta la documentazione”.

In Italia si fanno circa 3.800 trapianti l’anno con 1.500-1.700 donazioni, erano scesi del 10 per cento nel 2020 per effetto della pandemia da Covid-19 ma nel 2021 hanno recuperato, mentre in generale la sanità ha continuato ad accumulare ritardi. Sarà che il sistema è piuttosto centralizzato. Facciamo meno trapianti della Spagna, leader in Europa con il doppio delle nostre donazioni, ma abbiamo numeri in linea con quelli di Francia e Regno Unito e più alti della Germania. Ci sono anche accordi internazionali di vario genere, in particolare con la Spagna per i trapianti di reni tra viventi: in genere i donatori sono familiari ma a volte incompatibili, quindi è necessario incrociare due coppie diverse, il cosiddetto cross over. Una decina di interventi l’anno. Il Centro nazionale trapianti lo fa tra una Regione e l’altra e dal 2018 anche con gli spagnoli. Nell’intesa c’è anche il Portogallo, si tenta di coinvolgere la Francia. Un accordo simile si sta negoziando con gli Stati Uniti. Con altri Paesi che non fanno trapianti, come la Romania, c’è un sistema diverso: operiamo i loro pazienti in Italia e loro, in cambio, ci danno organi.

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