In vista della Cop26

Il 24 settembre torna il Global Strike: ecco perché lo sciopero può cambiare le cose

Molti si chiedono se queste azioni collettive abbiano un reale effetto. Da Gandhi a Martin Luther King, la storia ci dimostra che le persone possono fare la differenza

Di Sebastiano Michelotti (Fridays for future Italia)
13 Settembre 2021

Il 24 settembre prossimo è stato indetto uno Sciopero Globale per il clima. Milioni di persone si mobiliteranno nelle piazze di tutto il mondo per chiedere azioni concrete di contrasto alla crisi climatica. La situazione è preoccupante: i livelli di CO2 sono alle stelle, la temperatura media globale continua a salire ed enormi incendi devastano immense aree. Gli effetti concreti di questa crisi sono sempre più palesi, ma non è ancora detta l’ultima parola.

“L’ultimo rapporto IPCC […] ha confermato, verificando e sintetizzando migliaia di studi, che l’enorme intensificarsi di eventi climatici estremi è strettamente legato alla crisi climatica. […] È ormai più che urgente scendere in massa per le strade per supportare chi lavora e chi difende l’ambiente”, scrive Fridaysforfuture nel suo comunicato stampa.

Mappa degli incendi in tutto il mondo nel luglio 2021. Fonte: NASA

Ma analizziamo il valore di questo tipo di azione sociale cercando di capire se, e perché, sia fondamentale. Partiamo dal concetto di sciopero. Legalmente lo sciopero è un diritto riconosciuto dalla costituzione alle classi di lavoratori che intendono utilizzarlo come strumento di protesta a fronte di salari troppo bassi o condizioni di lavoro problematiche. Sebbene la legge tuteli chi sciopera da eventuali ritorsioni – come il licenziamento – lo sciopero assume valore proprio perché il lavoratore è disposto a rinunciare a una o più giornate di busta paga per manifestare un dissenso. Allo stesso tempo il potenziale si incrementa quando lo sciopero crea una situazione di disturbo: il disagio o il disservizio viene utilizzato come mezzo per trasmettere l’oggetto della protesta, obbligando chi lo subisce a confrontarvisi.

La mobilitazione internazionale per il clima, che da tre anni a questa parte ha preso piede sulle orme di Greta, è però composta principalmente da giovani studenti, non lavoratori. Eppure, fin dal primo momento, ha definito le proprie azioni come scioperi. In realtà, ciò non è un errore, anzi, ha un significato estremamente preciso e un’importanza fondamentale. Vediamo perché.

Lo studente non ottiene, generalmente, una retribuzione monetaria dall’attività di studio. Se però scorporiamo il concetto di “guadagno” da quello di “soldi” è assolutamente possibile considerare l’istruzione, la conoscenza come una forma di guadagno (oltretutto sono in ogni caso evidenti le correlazioni tra formazione e reddito). Lo studente, manifestando, rinuncia perciò a una giornata di “guadagno conoscitivo” per esprimere un dissenso riguardo alla gestione della questione climatica e dei risvolti che può avere sul proprio futuro. Così facendo crea un disagio sia per l’istituzione scolastica, che spesso sospende in toto le attività per mancanza di studenti, sia verso l’intera cittadinanza nel momento in cui occupa una strada durante il corteo.

Quello studentesco è quindi uno sciopero a tutti gli effetti

Detto ciò qualcuno potrebbe chiedersi “okay, ma serve a qualcosa?”. Anche qui c’è bisogno di una analisi che vada oltre la superficie e consideri i fatti da diverse prospettive. È tendenzialmente normale che chi vive nel presente di importanti mobilitazioni sociali le percepisca sottostimando il loro potenziale reale. Questo perché si tratta di azioni politiche e quindi, per lo più, con effetti concreti sul lungo termine. Questi per essere percepiti necessitano di essere analizzati nel loro complesso. Farlo nel presente richiede enormi competenze di analisi in materia sociologica ed è quindi abilità di una classe di specialisti e studiosi (che nonostante tutto possono sempre incorrere in errori valutativi). Farlo “con il senno di poi” invece è molto più semplice e alla portata di tutti, basti pensare con quanta scientificità è ormai possibile determinare le relazioni di causa-effetto nel processo storico.

La storia in questo ci aiuta enormemente. Decidiamo allora di farci aiutare ripensando ai grandi momenti che hanno cambiato il mondo. La formazione degli stati nazionali come passaggio dal sistema di regni e imperi a quello di istituzioni legittimate dalle proprie popolazioni che si autodefiniscono secondo criteri collettivi. Questo è forse uno dei casi più calzanti; “È successo un quarantotto” – si suol dire. Tra il 1848 e il 1849 infuria quella che verrà definita come “la primavera dei popoli”: un’ondata di moti rivoluzionari contro i regimi assolutistici. Il popolo riuscì a cambiare la struttura politica internazionale in modo sorprendente, tramite un percorso iniziato con la Rivoluzione Francese (altro indiscutibile esempio).

Negli anni quaranta del novecento un movimento pacifico, guidato da un piccolo avvocato di nome Gandhi, sconfisse a suon di scioperi e cortei l’Impero centenario di Sua Maestà d’Inghilterra. Nonostante i tentativi di repressione violenta la Gran Bretagna concesse l’indipendenza all’India nel 1947.

28 agosto 1963: Martin Luther King tenne uno storico discorso sui diritti umani. L’inizio dice “I have a dream.…”. È l’apice di un percorso iniziato dal basso, dalle persone, che portò all’abolizione formale della segregazione razziale negli USA perdurante da quasi 200 anni.
Questa è solo una spolverata dei momenti salienti degli ultimi duecento anni, ma è sufficiente per confermare la nostra tesi: per quanto sul momento possa essere impercettibile, l’azione sociale – manifestare e scioperare – influenza il corso della storia in modo tangibile. Le persone, se vogliono, hanno il potere di cambiare il mondo più di quanto possano immaginare.

Credits: Elena Zecchin

“Quest’anno, in autunno, si terrà la Cop 26, la conferenza mondiale a cui ogni Stato dovrà portare i propri impegni per la riduzione delle emissioni e per la risoluzione della crisi climatica. È necessario che i paesi del mondo collaborino fra loro, portando i loro obiettivi più ambiziosi. Sarà un momento storico. Anzi, dovrà esserlo, lo dobbiamo rendere possibile attraverso il più grande strumento che tuttə noi abbiamo: l’attivismo. Attiviamoci insieme per un futuro più giusto in cui nessunə venga lasciato indietro. Le vittorie raggiunte nel corso della storia attraverso l’azione collettiva sono la dimostrazione che possiamo creare un futuro in cui le persone e il pianeta abbiano sempre la priorità”.

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