In Marocco chi si oppone al re diventa uno stupratore

Di Rachida El Azzouzi e Rosa Moussaoui
14 Giugno 2021

In un anno tutte le richieste di libertà provvisoria per Soulaimane Raissouni sono state respinte. Il 3 giugno il giornalista è comparso in tribunale, sul banco degli accusati, irriconoscibile, dopo 57 giorni di sciopero della fame, prostrato su una sedia, incapace di tenersi in piedi, il corpo ridotto pelle e ossa, il viso scarno, trattato come un criminale. Soulaimane Raissouni, editorialista di acuta eloquenza, è l’ultimo in Marocco a osare ancora criticare a testa alta la monarchia, la sua corruzione, la tirannia, l’ingiustizia sociale che alimenta.

Il caporedattore del quotidiano Akhbar al Yaoum è in isolamento da più di un anno nel carcere di Oukacha a Casablanca. Ha perso quasi 40 chili. La sua giovane moglie, Kholoud, in un gesto disperato, ha postato sui social la scorsa settimana l’immagine del sudario bianco che ha preparato per lui. Souleimane Raissouni non ha visto crescere il figlio di 18 mesi. È stato arrestato all’alba del 22 maggio 2020 da poliziotti in borghese nella sua casa di Casablanca, sotto l’occhio delle telecamere delle tv, avvisate per l’occasione.

Solo diversi giorni dopo gli sono stati comunicati i capi d’accusa: “attentato al pudore” e “sequestro”. Alcuni giorni prima, la giustizia aveva aperto un’inchiesta dopo le accuse lanciate il 14 maggio 2020 su Facebook da un attivista per i diritti delle persone Lgbt. Quest’ultimo, con lo pseudonimo di Adam Muhammed, ha scritto di aver subito un “tentativo di stupro nel 2018” a casa del giornalista, ma senza nominarlo. Originario di Marrakech, il giovane ha detto che era stato invitato a casa sua da Kholoud, che all’epoca lavorava a un documentario sulla condizione delle persone Lgbt in Marocco, dove l’omosessualità è punita da sei mesi a tre anni di carcere. L’attivista Lgbt ha sporto denuncia solo dopo il mediatico arresto del giornalista, che nega in blocco tutte le accuse. Da mesi i siti pro-regime attaccano e minacciano Souleimane Raissouni.

All’origine di tanto odio, innanzitutto i suoi editoriali al vetriolo che non risparmiano né il re né i suoi collaboratori più stretti, né il potente capo dei servizi di sicurezza, Abdellatif Hammouchi, su cui pesano in Francia denunce per tortura. Ma Raissouni ha anche preso le difese di Omar Radi, anche lui giornalista, incriminato per “spionaggio” e “attentato alla sicurezza dello Stato” dopo lo scandalo sollevato da Amnesty International che aveva rivelato che le autorità marocchine sorvegliavano il giornalista tramite lo spyware israeliano Pegasus. Radi è poi stato accusato a sua volta di stupro. Infine Souleimane Raissouni non ha mai smesso di sostenere neanche sua nipote, Hajar Raissouni, 29 anni, anche lei giornalista di talento al quotidiano Akhbar al Yaoum, che si è fatta le ossa seguendo la rivolta popolare nel Rif del 2016, repressa nella violenza.

Il 30 settembre 2019, la giovane donna è stata condannata, sulla base di falsi referti medici, a un anno di carcere per “aborto illegale e rapporti sessuali illegali”, dopo essere stata arrestata all’uscita di una visita ginecologica. Data l’indignazione internazionale sollevata dal suo arresto, Hajar ha ottenuto la grazia del re ed è stata liberata il 16 ottobre. Ora è rifugiata in Sudan. La “strategia sessuale” utilizzata per demolire gli oppositori e mettere a tacere le voci critiche ha già fatto cadere un’altra figura del giornale Akhbar al Yaoum: il suo direttore, Taoufik Bouachrine, condannato nel 2018 a dodici anni di prigione per “tratta di esseri umani”, “abuso di potere a fini sessuali”, “stupro e tentativo di stupro”, al termine di un processo definito “iniquo” dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria. In appello la sentenza è stata portata a quindici anni.

Nel caso Bouachrine, delle quindici donne che avevano sporto denuncia contro di lui, otto hanno alla fine rifiutato di testimoniare o hanno ritratto la loro testimonianza. Una di loro, Afaf Bernani, è stata persino condannata per “falso in atto pubblico” a sei mesi di reclusione. Dal suo esilio, implora ora il regime marocchino di “smettere di usare le accuse di aggressione sessuale per far tacere gli oppositori”. Durante il processo a porte chiuse, durato diversi mesi, altri testimoni che avevano deciso di ritrattarsi sono finiti dietro le sbarre. Una donna presentata come “vittima” di Bouachrine, ma che rifiutava di comparire in tribunale, è stata ritrovata, terrorizzata, chiusa dentro l’auto di un testimone. Nel caso Raissouni, gli inquirenti si sono dati da fare per raccogliere varie denunce in modo tale da trasformare l’editorialista in un predatore sessuale. Invano.

Di fronte al calvario che sta vivendo, persino il giovane che lo ha denunciato si schiera ora in difesa del “diritto alla vita” e i suoi legali non si oppongono alla liberazione di Raissouni. Durante l’udienza del 3 giugno, il giudice ha però ignorato questi appelli: ha anzi ritenuto che la detenzione di Raissouni, secondo lui “in buona salute”, poteva essere prolungata. La perizia medica richiesta dalla difesa è stata respinta.

Molte voci si sono levate in questi giorni in Marocco per scongiurare Soulaimane Raissouni di smettere lo sciopero della fame, unico strumento ancora a sua disposizione per denunciare il rullo compressore di una giustizia ridotta a una macchina di repressione. Kholoud conosce bene suo marito: per lei, non si fermerà. “Libertà, giustizia o morte”, ripete Raissouni. Secondo un osservatore, dopo l’accordo siglato con l‘ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale in cambio della normalizzazione dei rapporti con Israele, il regime marocchino ritiene di godere in questo momento di una sorta di “onnipotenza diplomatica”. Lo testimonia il braccio di ferro in corso con la Germania e la Spagna per ottenere da parte dell’Unione Europea lo stesso riconoscimento concesso dagli Stati Uniti. Il 17 maggio, il Marocco ha cinicamente spinto migliaia di migranti, tra cui molti minorenni, nell’enclave spagnola di Ceuta. Ma i ricatti questa volta non funzionano, neanche con gli alleati più accomodanti, come la Francia. Il 10 giugno, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che condanna il Marocco per la crisi umanitaria a Ceuta. Non accadeva da anni. “La virilizzazione del regime marocchino in campo diplomatico, il suo disprezzo per i diritti umani, non sono un segno di forza, ma di debolezza. L’Unione europea e gli Stati Uniti devono reagire”, sostiene Aboubakr Jamai, giornalista d’inchiesta e fondatore del Journal, ora rifugiato in Francia.

A Parigi, dove la monarchia marocchina ha tessuto una solida rete diplomatica parallela nelle élite politiche, mediatiche, economiche e culturali, il silenzio è assordante. L’arresto di Soulaimane Raissouni è stato persino applaudito da alcuni giornali francesi. Il 29 maggio 2020, una giornalista di Marianne gli aveva dato dell’”islamista” accostandolo al fratello, l’ultra conservatore Ahmed Raissouni, vicino ai Fratelli Musulmani e nemico dichiarato dei diritti delle persone Lgbt e delle libertà individuali. La famiglia Raissouni, che contò anche in passato eruditi e oppositori del potere monarchico, comprende oggi islamisti, attivisti di sinistra, difensori dei diritti umani, femministe coraggiose come Hajar Raissouni. Eppure le tecniche scandalose utilizzate per coprire di fango i membri della famiglia impegnati nel dibattito pubblico e la sorte di Soulaimane Raissouni sembrano lasciare indifferenti i responsabili politici. Solo l’eurodeputato Raphaël Glucksmann si è rivolto su Twitter ai “carcerieri” del giornalista: “57 giorni di sciopero della fame e la morte in prospettiva se il suo grido incontra il nostro silenzio. Facciamo invece da eco a Soulaimane Raissouni, a Omar Radi. Due giornalisti e attivisti marocchini in prigione”. Nel carcere di Oukacha, Omar Radi, anche lui molto indebolito, continua a chiedere di poter far visita al collega. Ma le sue domande sono sempre respinte, settimana dopo settimana.

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