La legge contro l'omotransfobia

L’epoca del “lascia stare” è finita, Fedez se n’è accorto: anche i “froci” hanno famiglie favolose

Francesco Maddaloni e Guido Radaelli da domani in libreria con una raccolta di fiabe che assomigliano alla realtà. Ai lettori di A Parole Nostre hanno donato questi pensieri: “Noi si stava a testa bassa sui libri cercando di prendere i voti più alti per essere i primi – almeno in classe – visto che fuori ci sentivamo già diversi. Oggi assistiamo a un fermento nuovo, una voglia di dire le cose come stanno che è commovente. Ma perché il legislatore non ne prende atto?”

Di Francesco Maddaloni e Guido Radaelli
5 Maggio 2021

“Lascia stare”, “non importa” oppure “non è così”. Un’amica o una maestra imbarazzata ce lo ripetevano senza pensarci troppo quando qualcuno ci chiamava “frocio” o “ricchione”. E quella non era libertà di satira. Perché noi, che avevamo 12 anni, a rispondere con ironia non avremmo neanche saputo come fare. Noi si stava a testa bassa sui libri cercando di prendere i voti più alti per essere accettati, per sentirci amabili, per essere i primi – almeno in classe – visto che fuori ci sentivamo già diversi, con qualcosa da recuperare. A 12 anni, per noi, funzionava così.

Certi bulletti delle medie un giorno scrissero “ricchione” con un pennarello sul muro al lato del mio banco. La professoressa di italiano ammonì gli autori ignoti: “Non confondiamo la gentilezza di Maddaloni con quello che non è” disse. E fece cancellare la scritta. Io, invece, avrei voluto che la professoressa avesse risposto: “E anche se fosse, dove sta il problema? Che cosa significa per voi quella parola? Parliamone!”.

Di aneddoti così è piena la memoria di due come noi: gay, sotto i quaranta. Del resto, quelli, erano gli anni ’90, anni già molto fortunati rispetto ai loro precedenti, quando far cadere l’offesa era invece un atto di sopravvivenza. Ma il problema, nella totale assenza di una cultura della diversità, di chi era? Nostro o dei bulli?

Oggi, rispetto ad allora, le cose cambiano alla velocità di un post. In questi giorni le boutade infelici e le dichiarazioni coraggiose in televisione ce lo confermano: l’epoca del “lascia stare”, “non importa”, “non è così” sta finendo. “Le parole sono importanti” leggiamo sui social. E viene in mente Palombella Rossa: “Chi parla male pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste” diceva Nanni Moretti in quel film del 1989, riferendosi a una lingua italiana maltrattata dagli inglesismi. Viene voglia di prenderla in prestito, quella battuta, per parlare di quanto sta succedendo ora.

Assistiamo a un fermento nuovo, una grinta generazionale, una voglia di dire le cose come stanno che è commovente. Specie se la battaglia è portata avanti da chi ha un grosso privilegio mediatico ma non appartiene direttamente alla categoria in questione: Fedez ha tanto coraggio quanto seguito. E soprattutto senso civico. Perché se c’è una cosa poi che questa pandemia ci sta lasciando è sicuramente un ritorno al concetto di bene comune.

L’attenzione ai temi del rispetto e dell’inclusività prima per le donne, poi per le persone di colore e adesso per quelle lgbtqa+ è un trend mondiale con il quale anche il nostro Paese, un po’ in ritardo per indole e tradizione cattolica, deve fare i conti. Il Paese vero, quello delle persone che si incontrano tutti i giorni, è diverso da trent’anni fa: i suoi colori cambiano, gli amori nascono sotto il segno della libertà di espressione, le famiglie si formano fuori dalle convenzioni. Genitori divorziati, papà o mamme single, bimbi adottati, coppie gay o etero ma non sposate accanto a famiglie “tradizionali”: ecco cosa si incontra veramente all’uscita di una scuola. La diversità è all’ordine del giorno, appartiene a tutti – come la libertà – e se non tocca direttamente noi, lo fa con chi ci sta accanto. Educare al rispetto delle differenze significa stare al mondo, essere capaci di relazionarsi agli altri. Perché la diversità c’è, è viva, non come un virus da contenere ma come un albero da coltivare, perché un giorno darà frutti meravigliosi.

Noi ci abbiamo provato a modo nostro, con delle fiabe. Famiglie Favolose (Salani Editore) è un libro per bambini che spiega, attraverso 7 storie vere di animali, che in una famiglia non è importante il colore, il numero o il genere dei suoi componenti. Ma solo e soltanto l’amore. Milo è un piccolo cigno che vive in una famiglia in cui i genitori sono separati ma ci si vuole comunque bene; Mirtilla è una pecorella dal manto maculato che viene adottata da una cagnetta dalmata; Carlos e Fernando sono due fenicotteri rosa maschi che sognano una famiglia tutta loro. Insomma, queste fiabe assomigliano alla realtà, nel caso qualcuno non se ne fosse accorto. Una realtà in cui l’attenzione ai temi del rispetto e dell’inclusività non è più opzionale, ma necessaria. Insomma, non possiamo più “lasciare stare” e non solo perché è giusto, ma anche perché è un esercizio salvifico, che ripaga. È una vecchia storia molto moderna: solo accettando chi si ha di fronte, accettiamo veramente noi stessi. E la morale della favola è: provare per credere.

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