Aiuti europei, la rivoluzione mancata del nostro Pnrr: guarda al passato non al futuro

lo stimolo applicato sulle sole fonti rinnovabili basterà allo sviluppo al massimo del 25% della potenza produttiva che l'Europa ci chiede per gli obiettivi di riduzione climatica del 55% al 2030.E che l'Italia interpreta nel Pnrr come un 51%

Di Livio de Santoli (presidente Coordinamento FREE)
4 Maggio 2021

Il Pnrr guarda al passato non al futuro. Molte delle proposte sono più legate ad un atteggiamento del passato che alla rivoluzione necessaria per una transizione ecologica veramente disruptive. Si può riassumere così il giudizio verso questo provvedimento che potrebbe rappresentare un volano di sviluppo. Tutti quei settori sui quali esistono dei chiari trend di crescita e che rappresentano i fondamenti per la nostra industria, quali le rinnovabili, l’economia circolare e la mobilità sostenibile sono affrontati con timidezza ed esitazione, guardando all’indietro. Sulla mobilità sostenibile la parte del leone la fa l’alta velocità per servire zone del Paese ancora non raggiunte, sull’economia circolare ci si ferma alla chiusura del ciclo dei rifiuti non considerandoli come risorse, sulle rinnovabili si affronta quasi solo l’aspetto autorizzativo – cosa sacrosanta – perché ciò rappresenta da anni l’ostacolo più grande per lo sviluppo delle fonti verdi, ma c’è il rischio di burocratizzare la burocrazia visto che si creano tre nuovi organi per la semplificazione. Abbiamo calcolato come Coordinamento Free che lo stimolo applicato sulle sole fonti rinnovabili basterà allo sviluppo al massimo del 25% della potenza produttiva che l’Europa ci chiede per gli obiettivi di riduzione climatica del 55% al 2030. E che l’Italia interpreta nel Pnrr come un 51%. Il tutto con degli strumenti operativi come il Pniec e la Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra che andranno profondamente riscritti alla luce dei nuovi obiettivi.

A grandi linee il bicchiere per noi è vuoto al 75%, ora però vediamo come si potrebbe utilizzare quel 25% di “pieno”. Di sicuro si dovrà velocemente mettere mano al Pniec rendendolo molto più ambizioso e poi semplificare il processo di semplificazione – e si tratta di una riforma a costo zero – perché la rapidità in una risposta diventa un fattore competitivo per il Paese in un quadro nel quale le utilities sono internazionalizzate e possono installare rinnovabili ovunque. Oltre a ciò sarà necessaria una grande attenzione alle nuove filiere industriali per produrre valore e lavoro. La “disattenzione” verso i veicoli elettrici mentre il resto dei grandi paesi europei ci punta molto, rischia di marginalizzare il settore della componentistica auto che ci vede protagonisti di primo piano specialmente per i diesel. L’assenza di uno “zoccolo duro” elettrico, come il mercato interno, renderà complicata la sopravvivenza delle imprese della componentistica che in Germania, invece, vengono aiutate. Discorso analogo per la nascente industria dell’eolico off shore galleggiante, settore nel quale potremmo essere competitivi, ma per il quale il Pnrr prevede solo 200 milioni di euro. E visto che sono previsti impianti di produzione energetica off shore galleggiante, sarebbe il caso di tentare di arginare, attraverso una seria semplificazione amministrativa, anacronistiche posizioni che si oppongono all’installazione dei campi eolici galleggianti a 60 km dalla costa. Se, poi, s’imparasse dalla storia recente dove abbiamo visto il fallimento del solare termodinamico italiano -brevetto pubblico e investimento privato per 40 milioni di euro – con il quale si sono buttate a mare commesse internazionali miliardarie per l’opposizione paesaggistica a due impianti di poche decine di ettari, potremmo provare a fare un po’ di politica industriale. Cosa che il Pnrr ancora non fa, cadendo nella trappola dei compartimenti stagni che non comunicano tra di loro. E a farne le spese è l’economia circolare che nel documento perde la sua circolarità fermandosi alla gestione dei rifiuti, reiterando il concetto passatista che evita di chiamarli risorse. Anche in questo caso serve una politica industriale che affronti l’intera filiera dalla scelta dei materiali e dallo sviluppo del componente fino al suo uso corretto. Allora, un po’ più di coraggio e decisione: possiamo cominciare subito dai decreti attuativi del Pnrr, che devono essere tempestivi e coerenti. Si dovrà lavorare parecchio, ma sarà entusiasmante, per far si che gli ingenti finanziamenti dei prossimi anni diventino un volano di sviluppo. Sostenibile.

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