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Draghi chiama McKinsey e soci per il Recovery Plan

Di Gianni Barbacetto e Carlo Di Foggia
6 Marzo 2021

Magari il Recovery Plan – come ci ricorda certa stampa – “se lo scrive da solo Mario Draghi” con il ministro dell’Economia, Daniele Franco. Di certo, però, al Tesoro non hanno disdegnato un aiuto esterno, quantomeno nel valutare i progetti. Il ministero ha infatti appena arruolato il gigante mondiale della consulenza McKinsey per farsi dare una mano sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che deve stabilire come spendere i 209 miliardi del piano europeo entro il 2026.

Il coinvolgimento di McKinsey – rivelato ieri da Radio Popolare – va inquadrato in un contesto più ampio. A quanto risulta al Fatto, ci sarebbero altri tre o quattro colossi del settore al lavoro sulla revisione del Pnrr. Con la Pa, specie coi ministeri già lavorano le big four contabili (Kpmg, Deloitte, E&Y, Pwc) ma anche quelle della consulenza (Bain & Company e Boston Consulting). Nella prima versione del Piano, quella redatta ai tempi del governo Conte nella cabina di regia a Palazzo Chigi coordinata dal Comitato per gli affari europei (Ciae), qualcuna è stata già coinvolta (per esempio Kpmg e Pwc nelle schede di progetto della parte Sanità). Si trattava di una fase, come si suol dire, di lavoro bottom up (dal basso verso l’alto). La novità è che con l’arrivo di Mario Draghi si è deciso di coinvolgerle nella fase di cesura finale, quella che conta davvero.

Il ministero dell’Economia ha deciso di rivedere in parte il Piano trovato in eredità e, vuoi anche per i tempi assai stretti, ha chiamato i colossi. McKinsey è il leader mondiale nella consulenza strategica (dove si muovono anche Bain & Company e Boston Consulting): avrà un ruolo di supporto alle scelte, che restano politiche. In sostanza fornisce analisi dei dati e di impatto sui progetti selezionati dal Tesoro. Dovrà spiegare, per esempio, se un investimento ha funzionato o no in altri Paesi e fornire studi sui possibili effetti. Dall’analisi di questi dati può dipendere la scelta politica.

Il contratto, pare, non si basa su cifre elevate, è pensato per coprire i costi di lavoro del team (di norma poche persone) che si interfaccia col ministero. Il Tesoro è formalmente il cliente unico, ma i gruppi starebbero lavorando con tutta la cabina di regia incaricata di rivedere il Pnrr insediata al ministero sotto il coordinamento del dirigente della Ragioneria, Carmine Di Nuzzo, fedelissimo di Franco, e che coinvolge diversi ministeri, dalla Transizione ecologica (Cingolani) a quello della Transizione digitale guidato dall’ex manager Vodafone, Vittorio Colao, che proprio in McKinsey si è formato. Sul fronte digitale, peraltro, già lavorano con la Pubblica amministrazione colossi specializzati come Accenture. Difficile che questi nuovi contratti siano particolarmente onerosi per il Tesoro. Contribuire alla stesura del Piano che determinerà gli investimenti pubblici dell’Italia nei prossimi sei anni vale già come riconoscimento. E, magari, come posizionamento.

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