SanPa, la docuserie Netflix mostra il più grande alibi di uno Stato allo sfascio

3 Gennaio 2021

“A un certo punto San Patrignano ha pensato che la sua immagine pubblica fosse più importante della libertà interiore, ma se chiudi la porta alla verità la chiudi alla vita perché smetti di evolverti”. Fabio Cantelli, ex ospite poi chiamato a dirigere l’ufficio stampa della Comunità. “SANPA”, serie Netflix

Dobbiamo dire grazie agli autori delle cinque puntate su San Patrignano perché con un eccellente lavoro giornalistico (da premio Pulitzer) ci hanno raccontato una vicenda di straordinario impatto storico, sociale ed emotivo. Perché hanno ricordato ai cantori del bel tempo antico quanto quell’Italia degli anni 80 e 90 fosse brutta, sporca, cattiva. E, forse, proprio per questo capace di far nascere un fiore dal letame, come cantava Fabrizio De Andrè.

Era, il Paese, quello del terrorismo rosso e delle bombe nere. Del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. Delle mafie padrone a sud della Capitale, e anche a nord. Della politica impestata dal piduismo e dalla corruzione. Delle imprese sottomesse al sistema di Tangentopoli. Un’Italia dove una generazione di ragazzi sentendosi tradita nei propri ideali aveva tradito se stessa aprendo le vene all’eroina. Gettando le famiglie in una disperazione assoluta, folle, senza via d’uscita.

Ancora oggi ci si domanda se Vincenzo Muccioli fosse un salvatore o un padre padrone. Probabilmente entrambe le cose, e molto altro ancora. Sicuramente “SanPa” e il suo creatore hanno rappresentato il più gigantesco degli alibi per uno Stato sfasciato e totalmente assente sul fronte delle tossicodipendenze. Un formidabile scudo politico, mediatico e sanitario per delle istituzioni capaci di reagire in due modi soltanto. Pronte ad accodarsi ipocritamente a Muccioli negli anni della vittoria. E a scaricarlo con la stessa velocità nel momento della sconfitta e delle polemiche sui metodi coercitivi usati per trattenere i drogati. Sino al compimento della parabola dell’uomo e del mito, fiaccato dalle indagini e dai processi: tra veleni, intrighi, suicidi, omicidi e un mulinare di denaro.

È un racconto incalzante, il più possibile oggettivo nell’alternarsi delle testimonianze, tutte, anche quelle più sfavorevoli abbagliate dalla eccezionalità del personaggio e che, come è giusto, lasciano intatto il mistero della persona. “Non ho mai sopportato quelli per cui San Patrignano era o tutto bene o tutto male”, dice a un certo punto un ex ragazzo che è diventato un uomo dentro la complessità di quell’esperienza. È il giusto fastidio per chi giudica senza avere vissuto sulla propria pelle la differenza che esiste tra la morte e la vita.

Resta l’immagine di quelle madri, di quei padri imploranti in attesa per giorni all’ingresso della Comunità, aggrappati alla speranza e alla riconoscenza. Resta una domanda: se non ci fosse stato Muccioli, con i suoi metodi, i suoi eccessi, i suoi errori, quei ragazzi si sarebbero salvati lo stesso?

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