Cybersicurezza, la Fondazione è necessaria: l’Italia si svegli

20 Novembre 2020

L’Italia è campione mondiale delle persone sbagliate nel posto sbagliato. Per una volta che c’è la persona giusta al posto giusto tutti gli danno addosso. È il caso di alcuni siti e giornali che se la prendono con il vicedirettore del Dis, Roberto Baldoni, professore universitario, informatico superesperto, per affossare senza argomenti la creazione della Fondazione per la Cybersicurezza.

Prevista in un articolo della Finanziaria e scomparsa nel giro di una notte per l’opposizione di Italia Viva e Partito democratico, non si farà più, perdendo l’ennesima occasione di usare i fondi europei per investire nelle creazione di tecnologie nazionali e liberarci dalla morsa dei giganti d’oltreoceano che al momento giusto non è detto che faranno gli interessi del nostro Paese.

Fondazione per la cybersicurezza si doveva chiamare. Il nome italiano per la cybersecurity, sicurezza informatica, certo fa un po’ ridere, ma qui conta la sostanza, l’idea di un luogo capace di far collaborare tutte le componenti dello Stato – imprese, accademia, enti e istituzioni –, alla costruzione della cyber-difesa del Paese. Sul modello americano, tedesco e israeliano, come nei Paesi consapevoli che per supportare l’economia sanno che oggi bisogna proteggere le reti informatiche e tutti i propri asset digitali.

L’Italia non è così. La penisola colabrodo, territorio delle scorribande di gang informatiche russe, cinesi, iraniane, che vendono dati creditizi e passaporti falsi nel web profondo, spiano la Marina, intercettano conversazioni private e truffano i poveri cristi, avrebbe bisogno come il pane di una spinta alla digitalizzazione di reti e servizi mentre prepara i suoi giovani a difendere Made in Italy, banche e sicurezza nazionale.

Ecco, questo Paese cronicamente in deficit di competenze nei settori ad alta tecnologia infila letterati nelle aziende aerospaziali, ragionieri nelle commissioni parlamentari che si occupano di difesa e sicurezza, sostituisce manager a getto continuo in aziende statali, ma poi evoca gli hacker per i disservizi del click-day, e premia le imprese parastatali che sub-appaltano le gare al 30 per cento della commessa iniziale.

E tutto questo invece di aiutare le piccole-medie imprese italiane che con validi artigiani producono software eccellenti meritandosi i ringraziamenti di svizzeri, australiani e americani, come è successo a un’azienda padovana che ha scoperto il ransomware Emotet perfino tra i Navy Seals.

Il presidente Giuseppe Conte e il capo del Dis, Gennaro Vecchione, amati, odiati, ostacolati, passano più tempo a difendersi dal fuoco amico che a immaginare un modello di Paese possibile. Anche se il progetto della Fondazione gli era addirittura precedente, dell’epoca di Gentiloni premier, riescono a fargli crollare addosso il fortino dell’Italia digitale.

Tra il Conte-1 e il Conte-2 il Paese ha fatto passi da gigante nella cybersecurity, ha recepito le direttive Ue sulla sicurezza delle reti e delle infrastrutture, si è allineata ai dettami del Cybersecurity Act europeo e ha emanato la legge sul Perimetro Nazionale di sicurezza cibernetica che finalmente multa le aziende che non proteggono adeguatamente proprietà, clienti e utenti di servizi essenziali come banche, assicurazioni, trasporti, acqua, gas e luce.

La Fondazione era il tassello mancante. Sostenere la ricerca, realizzare prodotti utili, certificati secondo le norme Ue, avviare servizi sicuri all’interno di un quadro regolatorio certo, con l’aiuto di privati e università era l’obbiettivo della Fondazione. Bersaglio mancato per le pretese di partiti da prefisso telefonico che una volta sbraitano contro il privato e quella dopo contro il pubblico. La commedia dell’arte nel Paese di Pulcinella è la grande attrazione del popolo bue. Quelli che sanno come è andata si ricorderanno di loro.

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