Beni comuni ambientali

A Padova, la storia incompiuta del bosco tesoro Unesco: da esperimento ambientalista a luogo da recuperare

Incluso nel complesso dell’ex macello di Padova, era un esperimento naturalistico e insieme la sede di attività didattiche e sociali, riconosciuto tesoro Unesco nel 1991. Adesso il bosco è abbandonato, una parte dell’area è considerata inagibile e diverse visioni si scontrano sul suo futuro. Il Comune propende per il progetto di una Città della scienza, ma il problema del verde resta in secondo piano.

Di Riccardo Antoniucci
25 Agosto 2020

Che fine farà il bosco di Padova? Non una selva di periferia, ma un parco di alberi a pochi passi centro: sei ettari di piante cresciute naturalmente tra il canale San Massimo e le antiche mura cinquecentesche, nel quartiere Portello. Il bosco sorge nell’area dell’ex mattatoio comunale di Via Cornaro, costruito nel 1904 e dismesso nel 1978 e da anni un nodo caldo del dibatitto cittatidino sul recupero e il riuso del patrimonio pubblico. La vicenda è tornata sulle cronache per lo sgombero di due palazzina all’ingresso gestita dalla comunità di attivisti locali il 15 gennaio del 2020 (altri spazi rimangono agibili, come l’edificio centrale detto “La cattedrale” adibito a mostre e il Planetario comunale).

Per tutti gli anni ’90 il bosco è stato un esperimento naturalistico urbano curato e promosso da un gruppo di attivisti sociali e ambientalisti e con un benestare istituzionale mai completamente formalizzato. Poi il tempo passa, i soldi diminuiscono e la volontà politica oscilla. Fino a che nel 2018 l’area verde è diventata di fatto inaccessibile, con tutta la sua ricchezza floristica.

L’ex macello è stato a lungo il territorio della Comunità per le Libere Attività Culturali (Clac), un insieme di associazioni culturali e ambientaliste che è entrato nello spazio negli anni ‘80, e da allora ha portato avanti progetti di ispirazione sociale e ambientalista, “per il recupero dal basso” e il riuso di quegli edifici storici. Nella struttura hanno messo la sede molte associazioni, da sigle pacifiste fino al gruppo speleologico locale affiliato al CAI.

La storia e il declino

Camminando in quest’area di 17 mila metri quadri, rimasta per quasi quarant’anni in una dichiarata “autogestione”, si incontravano una biblioteca di 5000 volumi sull’ambiente, un Museo didattico di storia dell’informatica, un planetario (avviato nel 1982 e dal 2006 gestito dal comune in un edificio ex novo). E ancora, una camera iperbarica, un essiccatoio solare, un orto di mattoni a spirale con erbe aromatiche, una serra biotermica, due stagni e una doccia solare. Nei suoi momenti migliori, tutte queste iniziative sono valse all’ex macello il riconoscimento Unesco di “tesoro”. Era il 1991.

Ma soprattutto si incontrava un bosco, a poca distanza dalle palazzine. E non uno qualunque, ma un raro esempio di “bosco planiziale”, come spiega Adriano Menin, 69 anni e membro del gruppo speleologico, che ha vissuto la vita dell’ex macello praticamente dall’inizio. “È una zona verde, piantata e fatta sviluppare in modo naturale con l’intenzione di riprodurre la particolare composizione di flora originaria della Pianura padana”. Una sorta di fotografia dell’habitat di queste zone prima dell’urbanizzazione, che per anni aveva funzionato da parco didattico ospitando studenti locali ed europei. Fino al 2004, raccontano gli attivisti del Clac, lo spazio riceveva un finanziamento regionale che veniva usato il mantenimento delle strutture e del verde. Poi una stretta sul canone d’affitto e il colpo di grazia del 2004 con il taglio dei fondi regionali.

Da allora tutto è stato affidato alla contribuzione volontaria e il bosco non è stato più seguito a dovere”, racconta Menin. Le attività si sono cominciate a limitare agli edifici, il bosco ha smesso di essere un luogo di attività. La manutenzione comunale non è andata molto oltre delle occasionali puliture. Invasive e nocive per il sottobosco, denunciano dalla Clac: “nessuno si è più preoccupato di prevenzione o di verificare lo stato della vegetazione”. Lasciato a se stesso e alle intemperie il verde si è degradato, l’area diventata di difficile agibilità.

Problema strutturali… e interessi

Il problema dell’ex macello, che è vincolato come patrimonio monumentale dal 1986, va oltre il suo spazio verde e riguarda la messa in sicurezza degli edifici vecchi di 120 anni. L’attuale amministrazione del Comune di Padova, dal 2017 governato da una coalizione di centro sinistra (dopo una stagione targata Lega, che aveva rimosso lassessorato allambiente), si ritrova a gestire problemi ingigantiti dal tempo e dall’incuria pubblica del passato.

“Ho preso una decisione difficile per garantire la sicurezza anche di chi mi contesta e di chi occupava lo stabile”, si leggeva nella nota diffusa dal sindaco Sergio Giordani dopo lo sgombero. Oggi Chiara Gallani, trentenne assessore al verde eletta con una civica, conferma che “è stato un fatto grave, una ferita oggettiva”. Precisa che il verde dell’ex macello non è di competenza del suo dipartimento: “Il bosco è solo uno degli elementi dell’ex macello, che è unarea monumentale e ha una storia associativa molto importante”. Ma precisa anche che, dal suo punto di vista, è prioritario l’aspetto del recupero partecipativo. “Il fatto è che la manutenzione della struttura, con tutte le sue difficoltà, non è mai stata presa in carico completamente nel passato”, continua.

La priorità dellistituzione è da ritrovare un uso complessivo per lo spazio, risolvendo le difficoltà strutturali degli edifici storici. Anche prescindendo dal ruolo delle comunità che lo hanno animato fino a questo momento. L’ufficio dell’assessorato alla Cultura del Comune di Padova, guidato da Andrea Colasio, precisa che, anche se un progetto completo non c’è, la direzione del recupero è stata definita: trasformare l’ex macello, o almeno una parte (sicuramente la Cattedrale) in una Città della scienza, da abbinare al Planetario già funzionante.

Un’ipotesi preferita a quelle avanzate negli anni dagli ex occupanti, che mostrano al Fatto il loro piano di recupero, con tanto di planimetrie. Occupanti che infatti lamentano di essere stati tagliati fuori. “Fino allo sgombero i rapporti con l’amministrazione erano regolari”, ricorda Menin. Nel piano del Comune la gestione potrebbe essere concertata con i privati. L’assessorato di Colasio smentisce che una delle società cui si stia pensando per la gestione della Città della scienza sia Le Pleiadi, specializzata in divulgazione scientifica.

A orientare le decisioni del Comune c’è il tema, tutt’altro che secondario, degli oneri di recupero e gestione di un’area così vasta. Il comune ha già stanziato 700 mila euro per ristrutturare le due palazzine sgomberate a gennaio e dichiarate inagibili. Per recuperare tutto ne serviranno di più. Gli ex occupanti hanno avviato una petizione per chiedere che l’ex macello diventi “bene comune” e annunciano di aver raccolto 500 mila euro. Oltre il fatto di essere stati esclusi, al piano della Città della scienza contestano di non rispettare i principi di sostenibilità ambientale e partecipazione che, per loro, hanno sempre caratterizzato lo spazio. Ma non sono i soli a voler gestire l’area. In tutto questo, che fine farà il bosco di Padova?

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