La mozione

Tamponi privati: il Lazio contro assessore di Zinga

27 Giugno 2020

Nuovi problemi interni per Nicola Zingaretti, stavolta nella “sua” Regione Lazio. L’assessore alla sanità Alessio D’Amato, elogiato da più parti per la gestione dell’emergenza Covid, non piace più al Pd. Giovedì i consiglieri Dem, compatti, gli hanno votato contro, facendo approvare “a larga maggioranza” una mozione del centrodestra favorevole all’esecuzione dei tamponi nei centri diagnostici privati. Una battaglia, quella della gestione pubblica dei test molecolari che D’Amato aveva sposato sin dall’inizio insieme all’unità di crisi regionale composta dai tecnici dell’Istituto Spallanzani e dell’Iss. Attirandosi però la netta opposizione – fra gli altri – del capogruppo regionale Pd, Marco Vincenzi.

Il casus belli il 17 giugno, quando il Tar del Lazio accoglie il ricorso di Altamedica Artemisia, noto centro diagnostico di Roma, consentendo ai privati di effettuare tamponi a pagamento. Alle spalle di quel ricorso, il vasto e articolato mondo della sanità privata laziale, che spinge da settimane per la “liberalizzazione”. “Diffidate dai laboratori non autorizzati”, è invece l’appello di D’Amato ai cittadini. Poche ore dopo, viene depositata mozione di Stefano Parisi, già candidato governatore per il centrodestra nel 2018, che impegna la giunta a non opporsi al pronunciamento. Nelle premesse, anche un elogio al Veneto leghista: “La Regione Lazio ha eseguito meno della metà dei tamponi eseguiti in regioni virtuose come il Veneto”. Poco importa a Vincenzi, che giovedì in Aula fa approvare la mozione, con la sola astensione di FdI. D’Amato non ha fatto alcun passo indietro. Giovedì stesso ha depositato il ricorso in Consiglio di Stato, ottenendo la sospensiva della sentenza del Tar, con la discussione nel merito fissata per il 16 luglio.

Secondo i giudici amministrativi, l’attuale rete Coronet “è idonea a gestire, tracciare, elaborare la sottoposizione a test senza che l’auspicato contributo privato sia di decisiva utilità”. Al contrario, dieci giorni fa il Tar sosteneva che “nel bilanciamento degli interessi coinvolti, l’interesse pubblico prevalente è quello di eseguire quanti più esami possibile”. “Abbiamo voluto mandare un segnale a D’Amato. Nel merito, perché condividevamo il testo. Ma pur sempre un segnale”, racconta al Fatto uno dei consiglieri che preferisce restare anonimo. Il contesto pare essere la guerra in Giunta fra l’assessore alla Sanità – forte dei numerosi apprezzamenti ricevuti – e il vicepresidente Daniele Leodori, da un po’ di tempo il “reggente” causa impegni nazionali di Zingaretti. Fra i consiglieri esiste la convinzione che i documenti sul caso delle “mascherine fantasma” – raccontato ad aprile in un’inchiesta de ilfattoquotidiano.it – che ha messo in grande difficoltà Leodori, siano usciti grazie a una “manina” dell’assessorato Sanità. “Illazioni ignobili”, affermano dall’entourage dell’assessore. “Abbiamo tutti gli accessi elettronici, non abbiamo dubbi”, replicano i consiglieri dem. Nessun segnale, per ora, da Zingaretti. Marco Vincenzi, tecnicamente, è un suo fedelissimo, indicato come “esponente dello zoccolo duro degli zingarettiani”, ma appare difficile che il governatore abbia condiviso lo “sgambetto” al suo assessore più in vista.

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