Fake news: meno task force e più giornalisti

8 Aprile 2020

È un bel libro Fake di Christian Salmon, forse il saggio più documentato di “come la politica mondiale ha divorato se stessa”. Si parla della conquista del potere attraverso le “verità” fatte a pezzi, della battaglia politica “in forma di scambi violenti e brutali sui social networks”. Si parla naturalmente di Steve Bannon e di come la strategia dell’intossicazione abbia portato Donald Trump alla Casa Bianca. Si parla di Jair Bolsonaro e della demagogia populista alla Salvini. Un libro però con un difetto: è stato pubblicato a febbraio del 2020, proprio quando la falce globale del Covid-19 mutava improvvisamente le nostre esistenze e stravolgeva il modello di comunicazione dominante. Esiste dunque un fake

post Coronavirus su cui certamente Salmon starà lavorando. A cominciare dalla constatazione di come il virus, quello purtroppo reale, abbia in un mese attaccato e reso tragicamente ridicolo il potere conquistato attraverso la viralità della menzogna e della propaganda sotto forma di calunnia dell’avversario. Nel momento in cui la paura vera soppianta quella artefatta, sommersi dall’epidemia dopo averla negata i Trump e i Bolsonaro appaiono per quello che sono: delle fake news viventi (per non parlare di Boris Johnson, vittima della nemesi “di gregge”). Che senso ha allora, sottosegretario Andrea Martella, creare cosiddette task force per inseguire fake news travestite da barzellette (come la vaccinazione attraverso tisane e gargarismi o il morbo diffuso dalla Spectre cinese)? E come si potrà impedire di credere alle balle a chi vuole crederci? Mentre oggi le fake più pericolose sono semmai quelle nascoste nella comunicazione ufficiale, per esempio della Regione Lombardia. Da chi ha consentito l’estensione del contagio nelle residenze per anziani, a chi ha ritardato la zona rossa in Val Seriana. Ma per scoprirlo possono bastare i giornalisti.

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