Il racconto

Coronavirus a Shanghai, tra Termoscan e QRCode così si torna alla vita

Shanghai - Un italiano nella città cinese che ricomincia a muoversi Bar aperti, ma entri solo col codice (e se dimostri di non avere febbre)

25 Marzo 2020

Da mezzanotte di ieri sera nella provincia dell’Hubei, in Cina, è tornata la libertà di movimento. Sono stati rimossi i blocchi agli spostamenti imposti due mesi fa dal Comitato locale di prevenzione e controllo: il “via libera” varrà per tutti i residenti possessori del “codice verde”, quindi senza rischi di contagio. La Cina sta vedendo risalire i nuovi casi di coronavirus: siamo a quota 78 (74 sono quelli “di ritorno”, importati dall’estero), di cui uno proprio a Wuhan, dopo 5 giorni di fila a quota zero. Un lento ritorno alla normalità è anche quanto racconta Stefano Cardinale, cittadino italiano di 34 anni, residente da qualche anno a Shanghai.

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Lavora per una azienda di Cesena che importa calandre (macchine utensili) e si occupa di risorse umane. “Qui a Shanghai c’è un controllo estremo e distopico, ma la città è sicura, si è azzerato tutto. Da questa settimana si riprende a lavorare e andare a mangiare fuori, correre, passeggiare. Restano chiuse solo palestre, sale da ballo e piscine. C’è ancora tanta, tantissima prevenzione. Un esempio: alla gelateria Grom si entra solo mostrando il codice QRcode dal cellulare (nella foto, ndr): registra spostamenti ed eventuali casi pericolosi. All’ingresso ti misurano la temperatura, ti chiedono il numero di telefono e di lavarti le mani con il gel ed infine non ci si può sedere. Senza mostrare il codice QR non entri da nessuna parte”.

Anche a Shanghai c’è stata la chiusura forzata di ogni attività: “Ho fatto un mese in smart working, ora sono tornato in ufficio. Siamo stati a casa per un mese: nelle due settimane di quarantena ogni condominio dava un tesserino ai residenti per entrare e uscire da casa, le uniche due volte che sono uscito c’era gente che faceva jogging e portava fuori il cane. Si usciva solo per buttare la spazzatura e prendere il cibo arrivato dal delivery: ogni condominio aveva creato una zona per ritirare la merce senza avere contatto con altri. I mezzi di prima necessità – trasporti, alimentari – non sono mai stati interrotti, ma qui le autorità hanno spinto per potenziare il delivery. A Shanghai senza mascherina non si va da nessuna parte: non entri nei negozi, in metro, in taxi o in un ufficio. Non capisco perché chi lavora in Italia non venga messo al sicuro almeno indossando la mascherina, e pretendendo che all’ingresso dei supermercati venga presa la temperatura corporea. Le mascherine anche qui sono state un problema: le prime settimane sui social si trovavano quelle arrivate dall’estero e rivendute a prezzi dopati. Poi, nelle comunità di quartiere, ne abbiamo avuto cinque per nucleo familiare”.

I giornali locali hanno evidenziato quali sono stati i principali cambiamenti dall’inizio della reclusione forzata: “Una delle conseguenze della quarantena è stata l’aumento esponenziale del numero dei divorzi. Inoltre gli stranieri e specialmente gli italiani sono visti come zombie, vai a spiegare che vivo qui da anni… Ora hanno riaperto pub, ristoranti, bar e si sta tornando alla normalità: la gente esce, va a correre, passeggia, la sera beve un drink in compagnia. Nei ristoranti hanno distanziato i tavoli, e reso obbligatorio gel disinfettanti e prova della temperatura. Ma le mascherine restano e anche tutta la prevenzione: da questo punto di vista ci si sente molto più sicuri qui”.

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