Il virus antico che ha infettato la Costituzione

11 Marzo 2020

Scegliendo la Carta come lente di lettura di questa crisi spaventosa, saltano all’occhio questioni centrali. Il Paese dondola in una pericolosa altalena: c’è chi invoca l’esercito e la sospensione di tutte le prerogative costituzionali per impedire il contagio (attenzione, però, a cosa si desidera) e chi pensa di andare a sciare perché “bisogna continuare a vivere normalmente”.

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L’altro giorno, in una bella intervista a Repubblica, il professor Gaetano Azzariti ha spiegato bene come basti leggere attentamente la Costituzione “per essere certi che per i gravi stati di emergenza si può contare su una piena garanzia che misure eccezionali sono possibili e quindi legittime”. La Carta “prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata per motivi di sanità o di sicurezza. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Piena copertura costituzionale a limitazioni dei principi fondamentali (mai viste prima, in tutta la storia della Repubblica, nemmeno durante gli anni del terrorismo) ma, dice Azzariti, a patto che siano a tempo determinato. Si è anche puntato il dito contro il Parlamento che si riunisce un solo giorno alla settimana, ma come al solito per i motivi sbagliati: il punto non è il privilegio dei parlamentari (i soliti fancazzisti!), il punto è lo sbilanciamento dei poteri a favore dell’esecutivo, che può vigere solo a tempo.

C’è una seconda questione, ancora più importante: e sta tutta nell’articolo 32, uno dei più importanti. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Questo articolo rende l’Italia un Paese autenticamente democratico, di cui essere fieri perché la salute non è appannaggio dei ricchi (vedi Stati Uniti). Il guaio è come si sostanzia. Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un pezzo che dava conto dei tagli al settore sanità. Tagli che, scrive in un report l’Ufficio parlamentare di bilancio, hanno comportato “conseguenze sull’accesso fisico ed economico alle cure, soprattutto durante la crisi, e uno spostamento di domanda verso il mercato privato”. La Fondazione Gimbe ha calcolato che nel decennio 2010-2019, tra tagli e definanziamenti al Sistema sanitario nazionale (quello di cui si teme il collasso) “sono stati sottratti 37 miliardi di euro”. E ancora: la crescita della spesa pubblica sanitaria in Italia nel decennio è la più bassa dell’Ocse tolte Grecia e Lussemburgo. Anche in rapporto al Pil la spesa pubblica in Italia è inferiore alla media Ocse. Di tutto questo ci si è occupati troppo poco, perché il dibattito pubblico è stato ostaggio dei diktat dell’economia. Nel 2012 un Parlamento inebetito dai “fate presto” ha approvato la modifica dell’articolo 81, inserendo in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio, con una maggioranza superiore ai due terzi, cosa che impedì il referendum. Come fu che una norma così cruciale passò in questo modo, lo ha raccontato l’ex ministro Andrea Orlando alla festa del Fatto del settembre 2016: “Non fu il frutto di una discussione nel Paese, ma del fatto che a un certo punto la Bce disse: ‘O mettete questa clausola nella Costituzione o chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese’. È una delle scelte di cui mi vergogno di più, penso che sia stato un errore e non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui ci si arrivò”. “Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes”, scrisse allora Stefano Rodotà. Oggi dentro ai reparti di terapia intensiva capiamo come i diritti fondamentali possono essere messi in pericolo: una lezione che speriamo di aver imparato. Ma a che prezzo.

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