L’intervista

Sentenza Strasburgo sull’ergastolo, parla Gratteri: “Buttiamo 150 anni di antimafia. Così non parla nessuno”

Nicola Gratteri Procuratore Capo

9 Ottobre 2019

Nicola Gratteri, procuratore capo a Catanzaro, entra ed esce dal carcere per una serie di interrogatori di ‘ndrangheta. “Ho appena saputo della sentenza sull’ergastolo. In ambito europeo l’Italia conta pochissimo, anche piano normativo, e ogni tentativo di omologare i Codici produce accordi o verdetti al ribasso. Nel resto d’Europa le nostre mafie vendono coca e comprano tutto ciò che è in vendita, di solito senza sparare, così nessuno avverte pericolo. E le istituzioni europee, molto attente al piano bancario e monetario, politicamente e giudiziariamente non esistono. E noi quali codici antimafia dovremmo applicare? Quelli della Lettonia o della Scandinavia?”.

I giudici di Strasburgo invitano l’Italia a modificare l’ergastolo ostativo per concedere benefici penitenziari ai condannati irriducibili.

I mafiosi tireranno un bel sospiro di sollievo. É passata l’idea che puoi commettere qualunque crimine, anche il più abietto, poi alla fine esci di galera. Un principio devastante che non possiamo permetterci di accettare: cancellerebbe 150 anni di legislazione antimafia. Per motivi culturali, ma anche pratici, viste le conseguenze che avrebbe non solo in Italia. Ma in tutta Europa.

Ce le illustra?

Quello che questi giudici non capiscono è che un capomafia resta tale per tutta la vita. Anche se è detenuto da decenni, anche se è vecchio e malato, anche se è paralizzato in sedia a rotelle, continua a comandare e a dare ordini muovendo gli occhi. Tanto, mica deve fare le gare di sollevamento pesi. La sua unica forza è l’omertà. L’importante, per i mafiosi, è che non abbia mai detto una parola. Il solo fatto di non aver mai parlato gli vale il rispetto e la perpetuazione del potere nella sua organizzazione.

E l’ergastolo ostativo?

Unito all’isolamento del 41-bis, è la garanzia che il boss non uscirà mai e non potrà esercitare il potere. Dunque rimane un capomafia “in sonno”, come i massoni. Se cade questa barriera, crolla tutta la lotta alla mafia. Basta la prospettiva di uscire un giorno o l’altro, anche fra 10 o 15 anni, perchè un boss torni a essere un capo a tutti gli effetti.

L’ergastolo ostativo, associato al 41-bis, è anche la molla per indurre molti mafiosi a collaborare.

Sono essi stessi a confessarcelo. Nessuno, salvo rare eccezioni, si pente per ragioni morali, religiose, ideologiche, né la legge lo chiede. Chi parla lo fa per convenienza: perché vuole tornare dalla moglie, perché ha figli piccoli e vuole vederli crescere, perché non sopporta l’isolamento o l’idea di lasciare il carcere solo da morto, perché vuole rifarsi una vita, perchè sogna di spirare nel proprio letto. Se ora, dopo questa sentenza, venisse modificata la norma italiana del carcere ostativo e anche i mafiosi irriducibili potessero ottenere permessi e altri benefici, l’aspettativa o la speranza di tornare a casa, anche per qualche giorno, e soprattutto di morire nel proprio letto, senza dire una parola, perchè mai dovrebbero collaborare?

Crolleranno le collaborazioni?

È inevitabile. Se sai di uscire anche senza collaborare, stringi i denti a bocca chiusa, resisti ancora qualche anno e intanto guadagni meriti agli occhi dell’organizzazione criminale, perchè conterai sempre più, prima o poi tornerai a comandare e morirai nel tuo letto. Ma c’è un’altra conseguenza gravissima.

Quale?

Chi oggi è all’ergastolo ostativo e al 41-bis, messo inevitabilmente da parte perchè condannato a restare in cella a vita e dunque impossibilitato a esercitare il potere, aumentarà a dismisura la propria influenza e tornerà al centro dell’attenzione della sua cosca, visto che in futuro uscirà. Inizierà a inviare a chi sta fuori le sue ambasciate, che avranno un peso enormemente più forte, visto che fra qualche anno potrà chieder conto, da capo e da libero, della loro eventuale inosservanza a chi non gli avesse obbedito.

Falcone e Borsellino l’avevano capito, e lo pagarono con la vita.

Avevano capito che, per spezzare l’omertà, non c’è che l’ergastolo vero, quello che si chiama “ostativo”, anche se molti gattopardi fingono di dimenticarsene: hanno sempre in bocca Falcone e Borsellino quando gli conviene per farsi belli nelle parate e nei convegni. Ma poi, all’atto pratico, si guardano bene dallo sposarne il progetto intero: ne prendono qualche brandello a scopo autopromozionale. Nel ‘92 Falcone almeno non sapeva di morire, non ci pensava, la fase acuta della sua sovraesposizione era passata, lavorava al ministero da perdente, perchè era stato sconfitto, anche se poi alla sua morte tutti i gattopardi si affrettarono ad abbracciarne il cadavere. Ma Borsellino sapeva che sarebbe stato ammazzato, e visse quei due mesi scarsi fra Capaci e via d’Amelio pensando ogni giorno che sarebbe morto. Iniziò a morire, psicologicamente ancor prima che fisicamente, quando tornò a Palermo da Roma e capì che il potere reale l’aveva scaricato. Noi cerchiamo di tenere viva la loro lezione perchè i morti non si possono difendere. Ma dobbiamo difenderli soprattutto dai gattopardi che se ne appropriano per tradirli meglio, ammantandosi di “progressismo” e “garantismo”. Per fortuna, il giochino di costoro è complicato da un fatto che non avevano previsto: la memoria di Falcone e Borsellino ha contagiato migliaia di giovani che continuano ad affollare le manifestazioni antimafia.

Questa sentenza avrà molti consensi anche in Italia.

Certo, piacerà a chi si spaccia per “progressista” e “garantista” per interessi inconfessabili o anche soltanto per seguire la moda. A chi racconta che un sistema legislativo come quello antimafia italiano che rende non conveniente delinquere, non è “progressista”. Ma è retrogrado, è “fascista”. L’antimafia delle parole va bene a tutti. Quella dei fatti, che ti costringe a metterci la faccia e a rischiare, piace a pochi.

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