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“Alan Kurdi” abbandonata: Sos inascoltati e no dell’Italia

L’esposto - La ong SeaEye, diretta a Malta, ha rispettato le norme chiedendo per 3 volte un porto sicuro a Tunisi, Tripoli e Roma. Nessuno ha mai risposto

7 Aprile 2019

La Alan Kurdi, che mentre scriviamo viaggia verso Malta in cerca di un porto sicuro, ha rispettato le norme – come rivelato ieri da Avvenire – e finora ha chiesto aiuto invano. Ma è stata mollata a se stessa, come Il Fatto è in grado di documentare con nuovi elementi. Partiamo dalla dichiarazione di Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture, dicastero che sovrintende le Capitanerie di Porto e quindi più che attendibile.

Il tweet del ministero: “Ha fatto tutto da sola”

“Ecco ancora una nave tedesca di ong tedesca, la Alan Kurdi di SeaEye – twitta Toninelli il 4 aprile – che chiede sbarco a Lampedusa dopo intervento in acque Sar Libia senza alcun coordinamento Italia. Hanno fatto tutto in autonomia: ora solo la Germania può farsi carico delle scelte della sua imbarcazione”. Una dichiarazione in perfetta sintonia con quanto sostiene la Sea – Eye. Il Fatto ha chiesto alla Ong chi abbia coordinato il soccorso. Ecco la risposta: “Nessuno”. Che la Alan Kurdi abbia fatto da sola è quindi un dato acquisito. C’è però un dettaglio che Il Fatto è in grado di rivelare. Se la Alan Kurdi ha “fatto tutto in autonomia”, per usare le parole del ministro, il motivo è che nessuno tra Libia, Malta, Tunisia e Italia, ha preso in considerazione le loro richieste. Quando ha appena soccorso 64 naufraghi, la nave viene abbandonata a se stessa. Scientemente. E tra abbandono e autonomia c’è una differenza sostanziale.

“Tripoli, qui cinque feriti chiediamo porto sicuro”

Alle 15 circa del 3 aprile la Alan Kurdi scrive alla Guardia costiera libica e, per conoscenza, a quella italiana e tedesca: “Abbiamo terminato le operazioni di soccorso. A bordo ci sono 50 uomini, 12 donne e 2 bambini. Stiamo medicando 5 feriti. Per cortesia indicateci un porto sicuro”. Abbiamo chiesto a Sea-Eye se abbiano mai ricevuto risposta: “Nessuna. E abbiamo anche chiamato ripetutamente”. Se Sea Eye dice il vero la domanda è: a cosa serve la zona Sar libica quando si chiede un porto sicuro e non lo fornisce? C’è una sola risposta: a niente. È però utile, questa balbettante zona Sar, a sostenere che le norme obbligano a rivolgersi a loro. Altrimenti, come dice Salvini, “porti chiusi”. Il 3 aprile la Alan Kurdi ha rispettato le norme. Ha chiesto aiuto ai libici. Che non hanno risposto. Si dirà: va bene, ma perché venire in Italia? E la Tunisia?

“Tunisi, aiutateci voi. I libici non lo fanno”

Intorno alle 16 la Alan Kurdi contatta anche la Tunisia. Precisa che ha “provato a contattare la guardia costiera libica più volte” ma senza successo. “Per favore”, scrive nella mail, “indicateci un porto sicuro”. Risultato: “Anche in questo caso – spiega Sea-Eye – nessuna risposta”. E quindi tenta un’altra meta.

“Roma, fateci sbarcare: il meteo peggiora”

Nel pomeriggio del 4 aprile chiede aiuto al Comando generale delle capitanerie di Porto di Roma: “Il tempo peggiora, le altre guardie costiere non ci rispondono, ci dirigiamo verso Lampedusa, vi chiediamo gentilmente un porto sicuro”. Con gentilezza Salvini twitta: “Porti chiusi”. Ha appena impartito una direttiva a tutti gli Stati Maggiori: l’ingresso della Alan Kurdi rappresenta una minaccia per l’ordine pubblico e il suo passaggio in acque italiane sarà considerato “non inoffensivo”. La Farnesina ribadisce il concetto a Berlino, chiedendo alla Germania, poiché la nave batte bandiera tedesca, di farsi carico dello sbarco. Alla Alan Kurdi viene impedito l’ingresso. E così l’autonomia, che in realtà è abbandono a se stessa, per la Alan Kurdi, l’equipaggio e i 64 naufraghi, si trasforma in isolamento. È questa la nuova legge del mare. Con Salvini che sbeffeggia due mamme, con altrettanti bambini di 11 mesi e 6 anni, quando si rifiutano di sbarcare in Italia per non separarsi dai mariti: “Buon viaggio verso Berlino”.

Nessuna giurisdizione, governo intoccabile

La Ong Mediterranea ha presentato alla procura di Agrigento un esposto per “accertare se il divieto di ingresso nelle acque italiane, a fronte di una situazione di pericolo di vita e indifferibili esigenze di soccorso, sia un atto illegittimo”. Ma il divieto di ingresso è avvenuto in acque internazionali: non c’è giurisdizione. Piuttosto, se il governo può smentire queste ricostruzioni, mostri i documenti: lo faccia. Non è necessario il codice penale, né farsi scudo delle acque internazionali, per accertare quel che è giusto o sbagliato. Bisogna ammetterlo: è difficile immaginare lo stesso destino per naufraghi con passaporti più blasonati.

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