Luigi Di Maio ceda le quote della società del padre. Il vicepremier non può restare ostaggio

27 Novembre 2018

Luigi Di Maio non ha fatto nulla di male ma il suo ruolo di leader del primo partito italiano gli impone di cedere le quote della Ardima Srl. Per rispetto agli italiani che hanno votato M5s deve porre fine allo stillicidio sulle presunte irregolarità commesse nel precedente decennio dalla Ardima Costruzioni di Paolina Esposito, gestita dal padre e intestata alla mamma. La difesa del vicepremier è nota: la sua società – Ardima Srl – non è quella che avrebbe commesso le irregolarità denunciate in tv da Le Iene. Tutto vero. Il vicepremier è socio al 50 per cento con la sorella Rosalba nella Ardima Srl nata dopo le irregolarità presunte, nel 2012. Però tra le due Ardima c’è un legame: l’azienda, cioè il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore, in pratica l’anima dell’impresa.

La prima Ardima, quella della mamma con sede a Mariglianella, era gestita da papà Di Maio ed è nata nel 2006. Quella di Luigi e Rosalba Di Maio è una srl con sede a Pomigliano d’Arco. Però l’azienda della prima impresa è stata donata ai figli Rosalba e Luigi dalla mamma.

La Ardima Srl, nata nel 2012, era poco più di un guscio vuoto che prende il volo nel 2014 quando i due figli conferiscono l’azienda materna: comprendente una betoniera, un autocarro, quattro perforatori, due elevatori, un banco sega, più flex, trapani, ponteggi e minuterie varie. All’attivo c’è anche la cifra di 8mila euro per un lavoro in corso al Palazzo delle Fontane. L’azienda vale 80 mila euro e porta il capitale della Ardima Srl fino a 100 mila euro. Nel prospetto firmato da Luigi Di Maio, va detto, non risultano liti pendenti.

Comunque il legame aziendale tra l’impresa dei genitori e la Srl dei figli dovrebbe suggerire a Di Maio di chiudere la sua esperienza in un’impresa edile di Pomigliano.

Dopo il primo servizio Le Iene sono tornate a mordere e domani trasmetteranno una nuova intervista. Possiamo immaginarne il canovaccio: la “Iena” Filippo Roma, con l’aria da vigile inflessibile, gioca al gatto con il topo: “Allora, caro Di Maio, che fa concilia sulla storia di Sasà, lavoratore in nero nell’azienda di papà?”. Quando il vicepremier tenterà di chiudere il verbale con tante scuse per un “caso isolato” (“così mi ha detto papà”), ecco pronto il gancio a sorpresa dell’inviato Mediaset: “Eh no, caro mio. Caso isolato un piffero”. E giù altri tre nomi di sedicenti lavoratori in nero. Di Maio assumerà il solito sguardo triste e per la seconda volta si impegnerà a fare i compiti a casa con l’aiuto di papà.

Il format di ‘Filippo & Giggino’, con il primo che fa perfide domande di cui già conosce le risposte, potrebbe andare avanti a lungo come la serie a puntate dei vari Sasà, Gegé e Totò pronti a denunciare soprusi contributivi subiti dieci anni fa. I social della famiglia Renzi gronderanno di video pieni di strilloni nigeriani pronti a giurare che nella società di Rignano tutti erano assunti con contratto regolare e il ministro del Lavoro sarà costretto a difendersi sul piano formale. Dirà che lui, nonostante sia socio al 50 per cento, non segue gli affari della Ardima Srl e che comunque quella era un’altra impresa e di queste storie non ha mai saputo niente.

Però ci sarà sempre qualcuno pronto a far notare che nell’ultimo bilancio depositato, per il 2016, Ardima fattura 150 mila euro pagando salari per 76 mila euro mentre nel 2014 fatturava 190 mila euro e pagava stipendi per 33 mila euro. Luigi Di Maio nell’assemblea di approvazione del bilancio 2016 si è fatto rappresentare dal padre Antonio. L’utile della Ardima Srl è stato di 10 mila euro, 5 mila a testa per i due fratelli. Non distribuiti. Un vicepremier votato da 11 milioni di italiani può farne tranquillamente a meno.

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