Convenienze e sentimenti dell’Italia che ama il Capitano

11 Settembre 2018

“Odiano la Lega perché vola”: questo ieri un titolone di Libero, che però si potrebbe anche leggere al contrario. Ovvero: amano la Lega perché vola. Sulla indiscussa capacità di Matteo Salvini di essere enormemente divisivo, e dunque popolarissimo, è stato scritto (quasi) tutto. Sulla natura dei suoi odiatori e dei suoi amatori (spesso incontenibili) forse c’è qualcosa da scandagliare.

Una sintesi illuminante di questi due mondi in aspro conflitto la troviamo in una lettera pubblicata sull’ultimo numero dell’Espresso, a firma Gaia Santolin. Che a 19 anni manifesta “sconforto e disagio” quando sente i ragazzi della sua età dire che “la Diciotti andava lasciata in mare per sempre”. O che “siamo invasi e diventeremo tutti neri”. Scrive la giovane lettrice (di Treviso, appena iscritta a Giurisprudenza) che se azzarda un riferimento alle leggi razziali del 1938, i suoi coetanei replicano che “Mussolini ha fatto anche tante cose buone”. E se osa citare la Costituzione viene bloccata da due argomenti decisivi: “È stata scritta da quattro deficienti” e “andrebbe tutta rivista”. Alla curatrice della rubrica, Stefania Rossini, Gaia ha descritto questi ragazzi come “persone generose e generalmente aperte”. Perfino con qualcuno che a marzo “ha votato a sinistra” sentendosi poi tradito e non più rappresentato. Conclusione della Rossini: i giovani non trovano più un’offerta politica che li tenga ancorati alle istanze migliori della convivenza civile e si abbandonano alle proposte muscolari di un leader carismatico. Conclusione di questo diario: giusto, ma per dire simili desolanti bestialità non occorreva fare il liceo.

Pur non avendo mai odiato nessuno, chi scrive vorrebbe (come Gaia e tanti altri) che l’Italia non affogasse nella montante marea nera, assieme a migranti e magistrati. E pur tuttavia rimane sinceramente colpito dall’entusiasmo di tanti giornali e giornalisti nel trattare le gesta del Capitano assiso sul Carroccio. Sere fa, per esempio, abbiamo nutrito qualche apprensione per il bravo collega Mario Giordano – autore di battaglieri libri di successo come Vampiri e Avvoltoi, dedicati alle malversazioni e agli abusi di chi ci governava fino a tre mesi fa. Apparso in tv, da Barbara Palombelli, letteralmente sgomento dinanzi al sequestro dei 49 milioni (truffa ai danni dello Stato e dunque degli italiani) deciso dai giudici di Genova nei confronti della Lega. Un provvedimento che potrebbe impedire al partito in testa ai sondaggi di fare politica (anche se l’astuto Giorgetti non esclude la nascita di una Lega bis).

Chissà se Giordano avrebbe avuto questa stessa reazione se, per esempio, analogo sequestro fosse stato disposto nei confronti delle belve rapaci del Pd. Quanto all’analogia tirata in ballo con quanto accadde alla Margherita di Rutelli, si potrebbe obiettare che la Lega di Bossi e Belsito ha consentito una truffa a vantaggio del partito. Mentre il tesoriere Lusi incamerò fior di quattrini ai danni del partito. Osservazioni probabilmente inopportune. Poiché esiste una parte importante dell’informazione che al di là di tutto (e senza necessariamente piaggerie) ritiene il ministro degli Interni l’unica salvezza per l’Italia (così come esiste un’altra parte che vede in lui i prodromi del risorgente fascismo). Insomma, al cuor non si comanda.

Domenica sulla Lettura del Corriere della Sera, a proposito dei semidei passati e presenti, Alessandra Tarquini ha ricordato ciò che scriveva, atterrito, nel suo diario il ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai immaginando di separarsi da Mussolini: “Ora sono solo senza il mio Capo. Ora so cos’è la paura: un precipitare improvviso d’una ragione di vita”. Parole che ci sovvengono pensando a certe prime pagine disperate. Come: “Vogliono uccidere Salvini”: titolo apparso sul Giornale dove fortunatamente l’imminente assassinio era annunciato in punta di metafora. Anche se il mio preferito resta: “I rumeni ci rubano il pesce” (Libero): allegoria fulminante di un Paese lasciato dai buonisti radical-chic alla mercé delle orde predatrici. Perché in definitiva il salvinismo, senza se e senza ma, può anche rispondere alle legittime convenienze di un non florido mercato editoriale: restare nella scia di un Capo che naviga con il vento (e le copie) in poppa. Ma il motore che tutto muove è sempre prettamente sentimentale. Infatti, l’amore per Salvini e l’odio per la sinistra sono la stessa cosa.

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