Il dossier

Cosa può succedere dal 5 marzo: tutti gli scenari possibili

L’elenco - Dal governissimo alle larghe intese, dall’esecutivo di minoranza M5S all’impasse che tiene Gentiloni a Palazzo Chigi

3 Marzo 2018

Dire cosa accadrà da lunedì in poi non è ovviamente possibile. Le elezioni sono d’altronde, ha detto il capo dello Stato, “una pagina bianca”. Quel che si può fare fin d’ora, però, è indicare gli scenari possibili che tengano conto del tipo di legge elettorale, dei programmi reali dei singoli partiti e dei trend dei consensi per come li conosciamo dalle ultime settimane. Il giochino del candidato premier, in questo senso, è irrilevante: con un sistema a base proporzionale il governo si costruisce dopo il voto. Non solo: con un sistema proporzionale, in un contesto con almeno tre poli, è quasi impossibile che qualcuno ottenga nelle urne la maggioranza dei seggi nel prossimo Parlamento. Per comodità, in ogni caso, partiremo da questa ipotesi del terzo tipo che, in buona sostanza, è a disposizione del solo centrodestra.

Governo B, Salvini e soci, anche detto “del gatto in autostrada”. Per avere questa opzione si dovrebbe immaginare un (a oggi impensabile) trionfo del centrodestra anche nei collegi del Sud: Raffaele Fitto, nel suo “fuorionda” con Salvini e Meloni, teme anzi il tracollo. Se pure, però, la coalizione di Berlusconi si aggiudicasse il 40% dei voti proporzionali e due terzi abbondanti dei collegi uninominali produrrebbe al massimo un governo la cui durata si misurerebbe in mesi. La distanza tra i punti qualificanti dei vari partiti è davvero enorme e, per capirci, basti ricordare il primo governo Berlusconi, quello del 1994: nato da un’alleanza a geometria variabile (Forza Italia con la Lega al Nord e con Alleanza Nazionale al Sud) resse pochi mesi finendo per cadere sul no della Lega alla riforma delle pensioni e su altri dissidi interni. Istruttivo anche il seguito: Berlusconi indicò il suo ministro Dini come premier di un governo di larghe intese (FI alla fine decise di astenersi); la riforma delle pensioni poi la fece Dini.

Il governissimo ovvero “tutti dentro”. Ci si riferisce al “governo del presidente” di cui ha parlato per primo Massimo D’Alema e su una cui variante è inciampato ultimamente anche Pietro Grasso (LeU è disponibile a un esecutivo “di scopo” per fare la legge elettorale, che peraltro non è materia del governo, “se ce lo chiede il capo dello Stato”). Per far nascere un dicastero di questo genere serve una maggioranza amplissima, in genere raccolta attorno a un programma minimo che riporti il Paese al voto entro pochi mesi: come si sa, però, non c’è niente di più duraturo del provvisorio e le maggioranze del presidente fanno presto a diventare politiche.

Larghe intese vale a dire “il ritorno di Renzusconi”. È il progetto attorno a cui è nata questa legge elettorale, il Rosatellum, progetto messo però in crisi dal tracollo nei sondaggi del Partito democratico. Si tratterebbe di formare una maggioranza “moderata”, “europeista”, “responsabile” per “non lasciare il Paese nell’emergenza”, onorare “i nostri impegni coi partner Ue” e ovviamente “continuare il percorso di riforme”. Per fare questo, però, c’è bisogno che i due partiti perno – cioè il Pd e Forza Italia – ottengano buoni risultati alle urne e che lo stesso facciano le liste di contorno (tipo Noi con l’Italia – cioè Fitto, Cesa e soci – che però non pare destinata a superare la soglia di sbarramento del 3%). Un modello di coalizione che potrebbe essere alimentato, nel tempo, anche da transfughi dei partiti che ne resteranno fuori: attenzionati sono gli eventuali eletti al Sud di Salvini e i cosiddetti “maroniani” oltre ovviamente ai nuovi eletti 5Stelle (il Movimento, peraltro, ha già “cacciato” una quindicina di candidati, alcuni dei quali sicuramente eletti).

L’alleanza populista, cioè il governo M5S, Lega, FdI. Anche questa è un’ipotesi del terzo tipo anche se, a stare alle intenzioni di voto di questi mesi, con più chance numeriche dell’eventuale Renzusconi. Questo tipo di governo è l’incubo di un gran pezzo dell’establishment italiano, eppure tanto le liste dei 5Stelle che i ministri presentati da Luigi Di Maio spingono il Movimento più in direzione di un asse con la sinistra moderata che verso un’intesa, pure di massima, con partiti euroscettici come la Lega. Non è un caso che molti – dentro LeU e persino dentro al Pd (sponda Michele Emiliano) – parlino di appoggio a un governo dei 5Stelle in opposizione alla destra e al ritorno del Caimano.

Il governo Di Maio di minoranza, ovvero “Giggino a bagnomaria”. Con questa legge, come forse si sarà capito, il Movimento 5 Stelle non ha speranza di ottenere la maggioranza dei seggi, anche se facesse “il botto”: avrà comunque bisogno di trovare altri voti in Parlamento. D’altra parte se i grillini saranno abbondantemente sopra il 30% le altre coalizioni ne saranno indebolite e Luigi Di Maio potrebbe trovarsi a ricevere un incarico esplorativo da Sergio Mattarella. Rimanendo fedele ai principi enunciati (nessuna trattativa sulle poltrone, ma un programma di pochi punti da sottoporre agli altri gruppi), il candidato premier dei 5Stelle potrebbe dar vita a un esecutivo di minoranza con l’appoggio esterno di qualcuno (più probabile, come detto, che il soccorso arrivi da sinistra): anche lui durerebbe “come un gatto in autostrada”, ma nel frattempo i grillini perderebbero la verginità politica, che a oggi è il loro principale atout.

Gentiloni ovvero “la stabilità del coma”. È uno scenario non improbabile quello di una completa impasse in cui il nuovo Parlamento non riesce a formare alcun governo: andasse così resterebbero al suo posto Paolo Gentiloni e soci, in carica per l’ordinaria amministrazione, mentre le Camere potrebbero tentare di modificare la legge elettorale prima di riconvocare le elezioni. Vale anche per il lentissimo passaggio del “moviola” quanto detto per il governissimo: si inizia per stare qualche mese e poi si vede, tenendo presente che – come da nota citazione di Victor Hugo – “c’è gente che pagherebbe per vendersi”.

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