In ginocchio

Pop Vicenza, “ho perso tutto”: il dramma per 119 mila risparmiatori

Dopo il suicidio del pensionato, il racconto dei “sopravvissuti” traditi dalla banca E dei potenti che, invece, sono riusciti a vendere le azioni prima del crollo. In barba ai divieti

18 Giugno 2016

Da Montebello a Montecchio Maggiore fino ai comuni di Malo, Altissimo, San Pietro Mussolino e oltre verso l’altopiano di Asiago. Tra fabbriche e capannoni, filari di vite, vecchi casali e palazzoni nuovi piantati in mezzo al nulla. Bisogna venire in queste zone del Vicentino per comprendere i danni sociali prodotti dal dissesto finanziario della Banca popolare di Vicenza. Oltre l’80% degli azionisti sta qui, in questo lenzuolo di terra veneta, dove gli sghei ormai non ci sono più. Da 62,5 euro a 0,10. Il prezzo di un’azione della popolare, due numeri che tengono dentro il dramma di un crollo finanziario da 11 miliardi di euro (compreso Veneto Banca) che come in tutte le storie italiane travolge i poveri e sfiora appena i ricchi.

Il crac Parmalat, per rendere l’idea, bruciò 14 miliardi, ma nel mondo, qui si tratta di una provincia. Questo racconta, ad esempio, la vicenda di Nadia, classe ‘54, nata e cresciuta a Montecchio. Un marito, un figlio e il conto aperto alla popolare di Vicenza. In tasca mille azioni, valore: 63mila euro circa. Nadia vuole vendere perché deve ristrutturare casa. La banca però le propone altro: un finanziamento di 45mila euro in attesa che il suo borsino venga venduto. Risultato: le azioni Nadia non riuscirà mai a venderle e oggi valgono 100 euro. In compenso ora la banca rivuole indietro il finanziamento. Nadia non ha soldi e si ritrova anche registrata nelle centrali rischi. Tira avanti Nadia. Si arrangia con le pulizie. La disperazione tradotta in operazione aritmetica. Se oggi, chi, come lei, ha mille azioni per calcolarne il prezzo deve togliere uno zero, non al valore, si badi, ma al numero di azioni.

A Malo, sulla strada che dopo Schio porta verso Trento, Giuseppe e Cecilia, entrambi ex operai dell’Enel, figli a carico, tempo fa sono entrati alla Popolare con un bel tesoretto. Lui 11.345 azioni per un valore di 710 mila euro, lei 4.260 corrispondenti a 266 mila euro. Quasi un milione in due. Ce n’è per vivere di rendita. Gli sghei Giuseppe e Cecilia se li sono guadagnati lavorando duro. Tante ore in fabbriche e nient’altro. Solo i figli e pochissime distrazioni. Mai un cinema o un ristorante. Ora sono senza più niente. Quelle azioni, dopo il dissesto dell’amministrazione di Gianni Zonin, valgono 1.561 euro.

C’è poi altro, un retaggio culturale, tanto comprensibile quanto sciagurato. La banca come salvadanaio, o “musina” come lo chiamano qui, ovvero quel luogo sicuro oltre ogni dubbio dove mettere i propri risparmi. E così, nel tempo, la banca popolare di Zonin si è mangiata due generazioni di vicentini. I padri che ci hanno messo i risparmi di una vita, i figli convinti dai genitori e fregati dagli ultimi aumenti di capitale che, tra il 2013 e il 2014, hanno portato a Zonin altri 40mila soci. In totale i soci oggi sono 119 mila euro e solo 1.500 hanno fatto denuncia. Molti si appoggiano allo studio dell’avvocato Renato Bertelle. “Qualche settimana fa – dice – è venuta da me una famiglia, moglie, marito e figlia. L’uomo è gravemente malato. Non hanno più niente se non un briciolo di pensione. E insomma la figlia inizia a piangere per la madre che ha perso tutto. Avevano investito oltre 400mila, circa 6.900 azioni, sa quanto hanno ora? Poco meno di 700 euro”.

Ci sono storie gravi per un paese democratico. Storie come quelle di Antonio Bedin, correntista e suicida nella sua abitazione di via Borgolecco a Montebello dove ha la regale residenza il doge Zonin. Qui, Carlo, pensionato classe ‘49, è andato in filiale per vendere i suoi 937 mila euro di azioni. Ma che vendere! Si è sentito rispondere dal solerte funzionario. Alla fine Carlo si fa convincere, non vende, in cambio gli danno duemila euro e un finanziamento di 200 mila (soldi che non userà). Oggi Carlo non ha più niente oltre ai 1.500 euro che valgono le sue 15 mila azioni. E poi c’è il ricatto (al limite dell’estorsione) fatto a un’azienda locale che in cambio di 4 finanziamenti da 2,7 milioni si è trovata costretta a comprare azioni della popolare. Per anni Zonin ha venduto un solo prodotto: la banca stessa mandandola nel dissesto. Nel 2013 la Bce ha vietato alle popolari che hanno esaurito i fondi di riacquistare azioni.

La cosa vale per la banca di Vicenza che così fa con i clienti come Nadia, Carlo e Giuseppe, nascondendo il trucco, ma non con gli amici degli amici. Succede per i grandi nomi della moda veneta che ancora nel 2015 riescono a monetizzare milioni di euro. Capita anche a chi sta nello stesso Cda della popolare, e che nel 2015 porta a casa cinque milioni di euro.

E gli altri? Quelli scavalcati da Zonin? Quelli come Antonio Bedin? Restano solo lacrime e rabbia silenziosa. La stessa che oggi ha percorso le vie di Montebello per celebrare la morte di un ex operaio comunista. Un corteo arrivato davanti all’ex convento di via XXIV maggio dove vive Zonin. Il doge che già nel 2001 finì sotto inchiesta. Indagine finita archiviata e sulla quale oggi ha messo l’occhio il Csm, dopo un esposto dell’Adusbef. Obiettivo: capire quanto il potere del doge Zonin abbia rallentato i magistrati.

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