A Stoccolma, dove è tutto esotico quello che luccica

4 Settembre 2017

Vichinghi e vichinghe, ovunque. Sono circondata. Da biondi. Banale, ma la prima impressione di Stoccolma è questa. Mi guardo intorno, sedotta: sarà che vado sempre verso Sud, sarà la sopportazione della casualità del tutto e l’ordinarietà della movida, ma Stoccolma mi sembra estremamente esotica. Costruita su più isole, tutta un ponte sul mare e parchi verdissimi, fiori e bancarelle di funghi a ogni angolo di strada, edifici monumentali e case colorate, è stupenda. Un milione di abitanti, la attraversi a piedi.

Con il sole, rilassante è la parola giusta. Il motivo numero uno lo capisco al primo bistrot. Vado per pagare uno yogurt. “How much?”. “60”. Ovvero, 60 corone: 6 euro e qualcosa. Allungo le banconote. La ragazza (bionda) alla cassa mi ferma: “Only credit cards”. Io provo a insistere (è l’abitudine): “No cash? Sure?”. Lei mi fissa come se venissi da un altro pianeta, e ripete, ferma: “Only cards”.

Se qualcuno ti dice una cosa, è quella. Non ci sono margini di errore, né di trattativa. E il cash è quasi un residuo medievale: spopola Swish, un’applicazione per smartphone, che permette di pagare senza carte, né soldi.

Ad aspettarmi nell’appartamento a Vasastan, il quartiere di Pippi Calzelunghe, c’è il padrone di casa. Biondo, una cinquantina d’anni, sul genere forever-young-senza-sforzo (jeans, sneakers, cellulare perennemente in mano), fa lo chef in giro per il mondo. Mi racconta che in Svezia ci sono 37mila posti di lavoro vacanti. “Abbiamo bisogno di migranti. Ma sono più utili quelli che arrivano dall’Asia: parlano inglese. Se no, staranno tutto il tempo a vagare per la città, senza inserirsi mai”. Prima, mi pare che parli cinese, ma poi misuro la distanza e il ragionamento mi folgora: “Da noi tanti, anche italiani, vagano, non inseriti”. Lui ha pure una soluzione: “Servono programmi per insegnare l’inglese e lo svedese in pochi mesi”. La forza del pragmatismo. Prima di partire, gli faccio la domanda clou: “Noi siamo occupatissimi a gestire il quotidiano. Nel tempo risparmiato, voi che fate?”.

Asciutto: “Lavoriamo”. Il pragmatismo comanda. Però, nelle piazze ci sono le sedie sdraio che mi fanno pensare a una specie di danza del dio Sole. Sibelius e Mahler, eseguiti dall’Orchestra sinfonica di Helsinki, al Festival del Mar Baltico, si conquistano 12 minuti di applausi: entusiasmo trascinante. Al museo degli Abba, mi ritrovo dentro una stanza-discoteca dove una famiglia marocchina volteggia sulle note di Waterloo.

Tutto il resto è bici. Le indicazioni stradali sono per pedoni, automobilisti e ciclisti. “Move, move” (o qualcosa del genere), mi urlano continuamente, io che la ciclabile non la memorizzo. Ma va bene così. L’ultimo giorno trovo gli occhiali da sole giusti, di una marca svedese decisamente trendy. Piccoli, tondi, ne provo vari sulle sfumature del bianco. Chiedo: “Vanno bene anche in inverno?”. La commessa sussulta: “Noi non usiamo molto gli occhiali da sole in inverno”. Ah, già, è sempre buio. Devo tornare per capire se è davvero tutto esotico quel che luccica.

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