Chi è contro

Perché la carne e i latticini prodotti in laboratorio non sono un’opzione ecologica

Per l'associazione gli allevamenti intensivi e la carne coltivata in laboratorio, provengono dalle stesse multinazionali dell’agribusiness che negano la devastazione causata dal sistema alimentare industriale sul pianeta

Di Navdanya International
20 Novembre 2023

Gli alimenti sintetici appartengono alla nuova generazione di alimenti ultra-lavorati. Si ottengono attraverso l’iper-lavorazione di prodotti agricoli industriali, insieme a una combinazione di ingredienti trasformati o prodotti completamente nuovi attraverso la biologia sintetica (o la cosiddetta “fermentazione di precisione”) e/o attraverso la coltura cellulare.

Queste produzioni, che utilizzano l’editing genetico per la fermentazione di precisione, oltre a ingredienti industriali provenienti da catene di approvvigionamento tradizionali, non fanno altro che radicare e rafforzare ulteriormente i sistemi alimentari globalizzati, già altamente problematici e distruttivi.

Perché la carne e i latticini prodotti in laboratorio non sono un’opzione realmente ecologica: queste false soluzioni rafforzano e perpetuano il paradigma industriale, principale responsabile della crisi climatica. La questione dell’insostenibilità dei sistemi alimentari deriva dall’insostenibilità intrinseca dell’industrializzazione che interessa tutti i settori dell’alimentazione e dell’agricoltura. Sia che si tratti dell’allevamento intensivo, per esempio attraverso i CAFO (Concentrated Animal Farm Operations), in cui gli animali vengono forzatamente alimentati con cereali e soia coltivati a livello industriale e contenenti pesticidi, sia che si tratti del cibo prodotto in laboratorio, che rappresenta una variante dello stesso paradigma industriale. Questi due fenomeni, gli allevamenti intensivi e la carne coltivata in laboratorio, provengono dalle stesse multinazionali dell’agribusiness che negano la devastazione causata dal sistema alimentare industriale sul pianeta.

Il cibo coltivato in laboratorio è una falsa soluzione che si propone di sostituire alcuni prodotti senza mettere in discussione le strutture di potere che sono alla base del modello agricolo corporativo e industrializzato. Sposta inoltre l’attenzione dalle soluzioni reali offerte dal crescente movimento dell’agricoltura rigenerativa e non tiene conto del ruolo dei piccoli produttori e dei distretti del cibo nel plasmare i nostri sistemi alimentari. Le pratiche agricole rigenerative e agroecologiche hanno il potenziale di sequestrare 52 gigatonnellate di anidride carbonica, dato che possono catturare dall’atmosfera 733-3000 kg o più di anidride carbonica per ettaro all’anno, equivalenti alla quantità necessaria per rimanere al di sotto della soglia dei 2 gradi centigradi. Aumentando l’assorbimento di carbonio, l’agricoltura biologica ha un impatto climatico minore rispetto all’agricoltura industriale.

La vera contrapposizione non è tra allevamento industriale e carne da laboratorio. Questo binomio forzato ignora il ruolo dei piccoli agricoltori agroecologici e dei pastori e li assimila alla stessa categoria dell’agricoltura industriale. Così come gli allevamenti intensivi, la carne coltivata in laboratorio serve allo scopo di concentrare il potere nelle mani di pochi. I sistemi agroecologici, invece, si basano su generazioni e generazioni di conoscenze ecologiche, cultura alimentare locale e resilienza ecologica a sostegno della sovranità alimentare locale.

La vera soluzione sono i sistemi agroecologici che lavorano in armonia con la natura, che rigenerano gli ecosistemi e assicurano la salute e il benessere di piante, animali ed esseri umani. I sistemi ecologici basati sull’integrazione degli agroecosistemi promuovono la sovranità alimentare e la democrazia alimentare. La vera soluzione non sta nella creazione di sostituti del cibo naturale, ma nella comprensione delle esigenze degli ecosistemi in cui siamo inseriti e nel risanare la nostra connessione con la natura.

La medesima cerchia di affaristi e società che hanno promosso la Rivoluzione Verde e l’industrializzazione dei sistemi alimentari sta esercitando pressioni per l’approvazione e la commercializzazione di alimenti prodotti in laboratorio. Personaggi come Bill Gates, Jeff Bezos e giganti dell’industria della carne come Tyson foods, JBS, Cargill, Nestlé e Maple Leaf Foods sono gli artefici della spinta verso questo nuovo mercato, in cui gli investimenti hanno già raggiunto i 2,78 miliardi di dollari. Gli alimenti coltivati in laboratorio stanno rapidamente rivelandosi uno strumento per consolidare ulteriormente il potere e il profitto nelle mani di pochi colossi del settore alimentare.

Cedere il controllo sul nostro cibo a una manciata di multinazionali significa solo renderci più dipendenti da queste ultime, e abbandonarci a un sistema alimentare e agricolo completamente controllato dalle logiche del profitto. In questo modo la nostra sovranità alimentare e la nostra sicurezza alimentare vengono minate, con conseguenze potenzialmente deleterie per i sistemi alimentari locali e per i sistemi ecologici. Il rischio è la definitiva scomparsa dei piccoli agricoltori, delle pratiche agroecologiche e delle diete tradizionali. Procedere con la mercificazione su larga scala della carne coltivata in laboratorio sancirebbe la definitiva e completa separazione del cibo dalla natura.

Definire questi prodotti come ecologici e sostenibili è solo l’ennesima operazione di greenwashing per trarre profitto da quei consumatori attenti all’ambiente e sempre più critici nei confronti della produzione alimentare industriale.

In definitiva, questi “alimenti Frankenstein” rompono ulteriormente il nostro legame con la natura e, nel farlo, disconoscono il ruolo dei processi naturali e delle leggi dell’ecologia che sono alla base della reale produzione alimentare. Incentivando l’illusione di poter vivere al di fuori dei processi ecologici della natura, questa nuova tecnologia non farà altro che aumentare il controllo delle multinazionali sul cibo e sulla salute, accelerare il collasso delle economie alimentari locali e distruggere ulteriormente la democrazia alimentare.

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