A Roma

L’opera è la vita: l’“Infinito” Pistoletto confonde lo spazio per renderci umani

22 Aprile 2023

Se “io sono quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta” (per dirla in musica), allora io sono anche colui che nel Mediterraneo si specchia e vede riflesso un sé sottosopra; trova lo spazio vuoto dello Stivale e la mano assente della Macedonia; siede in ogni angolo (che tale non è, perché il mare non ha spigoli) sulle sedie diverse, provenienti dai luoghi che intorno a quel mare, il Nostro, si affacciano. “Love difference – Mar Mediterraneo” è un’opera ancora più efficace oggi, che la protezione speciale viene messa in discussione, di quando fu realizzata, nel 2003, e che valse al suo autore il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia. È una delle 50 opere, oltre alle 4 installazioni site specific, che si possono ammirare fino al 15 ottobre al Chiostro del Bramante, a Roma. Una mostra, “Michelangelo Pistoletto. Infinity”, curata da Danilo Eccher, che ci restituisce 60 anni di carriera di un artista quasi 90enne, capace di rielaborare il tempo e lo spazio frantumandoli e ricucendoli in un caleidoscopio. Ciò che lega l’universo alla mente umana non è che lo stesso principio, scrive Pistoletto: “L’universo contiene tutto il possibile e man mano a ogni istante, lo traduce in essere. Il nostro cervello è come l’universo perché contiene tutto il possibile e con l’arte lo trasforma in essere”. Non c’è distinzione, tra arte e vita, mescolate nel gioco della giusta distanza: “Avvicinati”, si legge alla base del “Quadro specchiante” che però, poi, rimanda indietro. E così la persona diventa la propria moltiplicazione, attraverso il complesso sistema di “Metrocubo di infinito”. Infinito che è il simbolo che l’artista rielabora per creare il “Terzo Paradiso”, con la sua trinamica, la dinamica del numero 3, quello in cui l’io e il tu si fondono nel noi. Arte e vita sono l’una dentro l’altra, come nella “Venere degli stracci”, in cui la bellezza classica è minacciata da una montagna di modernità. L’eterno nel quotidiano, la frenesia nella trascendenza. Un “attivatore”, così si definisce Pistoletto, conscio della necessità che ognuno contribuisca a realizzare la “grande opera comune di un’umanità nuova”: ed è per questo che, nell’ultima sala, il “Terzo paradiso” è una distesa di piatti, che solo suonati insieme danno senso all’opera. E alla vita.

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