Ambiente

Pd in tilt sugli inceneritori: Roma lo fa, Livorno chiude

Piani green - Gualtieri teme il referendum e insiste sui lavori; ma in Toscana hanno deciso di fermare l’impianto

Di Vincenzo Bisbiglia e Lorenzo Giarelli Icons/ascolta
15 Aprile 2023

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Metti l’inceneritore, togli l’inceneritore. Mettilo a Roma, toglilo a Livorno. Nel gioco delle tre carte del Pd sugli impianti di trattamento dei rifiuti, la confusione è massima. Anche perché ognuno, a seconda della corrente e dell’area geografica di riferimento, sembra andare per la propria strada. Una bella gatta da pelare per la neo-segretaria Elly Schlein, che prima ha riempito la sua segreteria di movimentisti e filo-ambientalisti e ora deve preoccuparsi delle fughe in avanti più o meno concordate che rischiano di mettere in risalto le forti divisioni nel partito. Della serie: come mi muovo, sbaglio. E creo danno.

Chi alle tre carte preferisce il solitario – come dimostra pure lo scatto che lo ha pizzicato a giocare al cellulare durante il Consiglio comunale sui rifiuti – è Roberto Gualtieri. Il sindaco di Roma fa orecchie da mercante rispetto alle richieste sempre più insistenti di indire un referendum sul termovalorizzatore a Santa Palomba, all’estremo sud della città. A quanto risulta al Fatto, ai suoi collaboratori e ad alcuni consiglieri capitolini di maggioranza, il primo cittadino ha risposto che la consultazione cittadina – già sperimentata da Virginia Raggi sulla privatizzazione di Atac – “non è all’ordine del giorno”. Anche perché lui l’inceneritore lo vuole realizzare da commissario per il Giubileo, non da sindaco. “E comunque l’iter è già partito”, avrebbe detto. Gelati in un sol colpo il comparto Verdi-Sinistra in Campidoglio, i radicali e, soprattutto quella fronda dem filo-ambientalista che con l’arrivo di Schlein al Nazareno aveva ripreso vigore, capeggiata a Roma dall’ex factotum zingarettiano, Marco Miccoli.

Tra i contrari al futuro impianto di Acea, nella segreteria di Schlein, c’è anche Annalisa Corrado, ex dirigente di Europa Verde e ingegnera meccanica. Corrado però nel Pd romano conta poco, quasi nulla. La carta a sorpresa potrebbe allora essere quella di Michela Di Biase. L’influente parlamentare del Pd – una vita nelle istituzioni capitoline e (il che non guasta) moglie dell’ex ministro Dario Franceschini – secondo indiscrezioni, punterebbe dritta alla guida della segreteria romana. Il suo storico riferimento nel Lazio, Daniele Leodori, è il campione dei voti dei Castelli Romani, area dove si propagheranno i fumi del futuro impianto. E lo stesso Pd del 9° Municipio – grande quanto la città di Modena – è in subbuglio. Quale occasione migliore per sciorinare un “pensiero critico” sull’impianto e incamerare consensi?

Molto dipenderà dalla riuscita della “grande manifestazione” che tutti i comitati no-inceneritore stanno organizzato per il 19 aprile alle ore 17 in Campidoglio. Nell’ambiente c’è fermento, ma anche un po’ di preoccupazione, perché i numeri dell’ultimo sit-in di Albano non sono stati soddisfacenti. Ma sfilare sotto il Marc’Aurelio, si sa, è un’altra cosa.

E magari sarà l’occasione per rendere nazionale il dibattito sui rifiuti, in un partito che ha posizioni molto variegate.

A Livorno, per citare il caso più attuale, la giunta a maggioranza Pd guidata da Luca Salvetti ha scelto di chiudere l’inceneritore cittadino, aperto negli anni 70 e più volte ammodernato. Sul superamento dell’impianto non ci sono dubbi, l’incognita è solo sui tempi: il sindaco e Raphael Rossi – amministratore unico di Aamps, la società locale dei rifiuti – hanno ribadito poche settimane fa in conferenza stampa l’impegno a dismettere l’inceneritore, fatta salva la garanzia di non lasciare a casa nessun dipendente. Quando? Forse in autunno, ma la Regione vorrebbe aspettare un paio d’anni. Ma chi studia il dossier non ha dubbi.

Livorno ha raggiunto il 65 per cento di differenziata e l’impianto ha un impatto ambientale e un costo economico che non consentono più di mantenerlo attivo. Ogni anno brucia circa 70 mila tonnellate di rifiuti e per ciascuna tonnellata si devono fare i conti: 2.500 litri d’acqua consumati; oltre 1 tonnellata di anidride carbonica emessa; un 20 per cento di scorie rispetto al volume bruciato e un 4-5 per cento di polveri sottili. Ma le obiezioni non sono solo contingenti al caso livornese, come spiega una fonte locale: “Ormai questi impianti sono diventati costosissimi, perché prevedere i sistemi di abbattimento dei fumi e gli strumenti per tenere sotto controllo l’impatto ambientale fa lievitare il costo di circa tre quarti. E spesso i Comuni dell’area sono costretti a firmare contratti di 10 o 20 anni per impegnarsi a portare lì i rifiuti, visto che le banche vogliono garanzie”. Tutti motivi per cui il Pd vuole cambiare rotta. O almeno, lo vogliono i dem locali.

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