La sinistra è una vittima della guerra in Ucraina

Di Nico Piro*
18 Febbraio 2023

A quasi un anno dalla tragica e folle invasione dell’Ucraina, la parte maggioritaria della sinistra italiana in Parlamento è nell’elenco delle vittime collaterali del conflitto, sbriciolata e messa fuori gioco dalla sua stessa scelta bellicista. Anche per via di queste posizioni che azzerano ogni volontà di ricerca di soluzioni diplomatiche, assieme alle agende politiche di Russia, Stati Uniti e Cina, questa guerra è destinata a durare per diversi anni. Un orizzonte temporale che se è devastante per il martoriato popolo ucraino, per quello russo, per gli equilibri economici e militari globali, rischia di essere testimone dell’estinzione politica della sinistra italiana. A meno che non si agisca subito. “Fate presto” a ritrovare volontà politica di pace, a ignorare il marketing della guerra e il PUB, l’ormai egemonico pensiero unico bellicista. Abbandonare la visione micro di quanto sta accadendo per tornare all’analisi globale, storica cifra di quel pensiero cattolico e progressista a cui il Pd dovrebbe ispirarsi. La scelta bellicista di Letta ha avuto conseguenze politiche all’apparenza non calcolate e non volute. Riducendo ogni analisi alla semplificazione aggredito-aggressore (sacrosanta ma pur sempre pericolosamente semplificatoria), si sono sdoganati a sinistra almeno due dei pilastri del pensiero storico della destra: il nazionalismo e l’idea che la guerra possa risolvere problemi; di conseguenza è ormai impossibile per certa sinistra un’opposizione che non sia solo tecnica (l’articolo, il comma) ma politica a un governo che fa della riesumazione del nazionalismo la sua battaglia chiave. In nome della semplificazione aggredito-aggressore, si è involontariamente assecondato un antico progetto piduista e fascista: la cancellazione del pluralismo nell’informazione e nella conversazione pubblica italiana. Dopo mesi di fango, di stigma e di diffamazione sistemica negli ultimi giorni “l’ebrezza da carri” ha spinto gli opinionisti con l’elmetto a rompere l’argine finale nella caccia al pacifista: ormai odiano più chi chiede pace che Putin, responsabile della guerra. Se si arriva a definire la comunità di Sant’Egidio parte della Spectre, a elevare a livello di analisi il termine “pacifinti” (chi chiede pace lo fa per “altri motivi”), se dalle redazioni, dai giornali e dagli schermi scompaiono le voci della pace non è solo un problema del movimento pacifista, è un’emergenza per la democrazia italiana, quella che Pd e Articolo 1 dovrebbero difendere. Se in nome della semplificazione aggredito-aggressore si votano forniture di armi “al buio”, non solo si alimenta la fornace della guerra e si ripudia l’articolo 11 della Costituzione, si acconsente alla fine della trasparenza legislativa, si approva in anticipo il futuro ripascimento degli arsenali, si rinuncia a sapere a quanti ospedali, asili e scuole daremo l’addio per quelle armi. Ormai, secondo l’Osservatorio Milex, il costo per l’Italia dell’invio di forniture militari all’Ucraina oscilla tra 800 milioni e oltre 1 miliardo di euro. Se in nome della semplificazione aggredito-aggressore si partecipa all’elezione dell’atlantismo a valore quando è invece solo una scelta di campo (cosa ha a che fare l’Italia con la Turchia, oltre alla partecipazione alla stessa alleanza militare?) si indebolisce l’unico vero insieme di valori a cui deve riferirsi la politica: la nostra Costituzione. Se in nome della semplificazione aggredito-aggressore un onorevole del Pd presenta nell’edificio del Parlamento liste di proscrizione di presunti giornalisti filo putiniani, va perso un altro pezzo dell’identità di sinistra: la difesa della libertà di stampa e di opinione. A tutt’oggi, su quell’iniziativa manca un’autocritica ufficiale del partito che pur, contro l’editto bulgaro, portò all’Europarlamento l’epurato Michele Santoro. Il congresso del Pd ha la possibilità di correggere la rotta sulla guerra. Se nelle mozioni è presente il valore della pace, questa viene però considerata curiosamente compatibile con le forniture di armi all’Ucraina, verso le quali nessun candidato solleva dubbi o chiede vengano vincolate per tempi e obiettivi. Gli ultimi sondaggi, tra l’altro, confermano che gli italiani sono in larga maggioranza contro la guerra e le armi. Aggiungo la mia modesta testimonianza: da mesi con il mio Maledetti Pacifisti vado in giro per l’Italia e registro il bisogno di rappresentanza di una vasta aerea cattolica e progressista, sindacale e dell’associazionismo. Istanze di base private di ogni voce istituzionale con l’unica eccezione di quella di Papa Francesco. La pace non è però questione di consenso quanto di identità. In un’epoca in cui i cosiddetti moderati ormai usano toni da estremisti e danno l’impressione di volere orientare un governo di estrema destra per rimettere apposto un po’ di cose nel Paese (vi ricorda nulla della nostra Storia?) la rinuncia da parte di certa sinistra alla radicalità, al tentativo di rendere possibile l’impossibile ne terremota l’identità e la candida all’estinzione. E sarebbe un male per tutti.

*Inviato speciale del Tg3, autore di “Maledetti Pacifisti: come difendersi dal marketing della guerra”

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