C'era una volta la neve

Crisi e clima soffocano lo sci, ma si costruiscono ancora impianti

Le difficoltà  che sta incontrando la Coppa del Mondo invernale è l'esempio di come il cambiamento climatico rende sempre più difficile trovare una bianca coltre di neve. Poi c'è l'au,mento dei costi, un mix che dovrebbe sconsigliare le opere che invece si continuano a fare in montagna

Di Fabio Valentini (Mountain Wilderness Italia)
31 Ottobre 2022

Cosa accadrà nella stagione di vacanze invernali che si avvicina? Ci vorrebbe la palla di vetro per poter leggere nel futuro, specialmente in un periodo ricco di incertezze come quello che stiamo vivendo. Ma armiamoci di coraggio, proviamo ad analizzare i dati in nostro possesso e mettiamo sul piatto qualche considerazione.

Cominciamo dal clima. La Coppa del Mondo di sci alpino ne sta subendo le conseguenze: la gara d’esordio a Sölden rinviata per il maltempo; le discese maschili e femminili a Cervinia-Zermatt cancellate per mancanza di neve con lo zero termico ben oltre i tremila metri, impossibile perfino “sparare” la neve artificiale; a rischio anche il prossimo appuntamento a Lech Zürs in Austria. Per preparare la nuova pista “Gran Becca”, che parte da Zermatt in Svizzera (quota 3800 m) ed arriva a Cervinia in Italia (quota 2865 m), i lavori sono partiti fin dalla scorsa estate con le ruspe sul ghiacciaio del Plateau Rosa, scatenando polemiche alimentate anche dalla concomitante sciagura del crollo in Marmolada.

Il problema delle stagioni sciistiche consiste in due fattori principali: l’incostanza delle temperature, che tra alti e bassi porta al mancato consolidamento del manto nevoso, e l’accorciarsi del numero di settimane sfruttabili per gli impianti. Anche in caso di abbondanti nevicate, lo strato di neve sciabile non si mantiene a lungo e le condizioni ottimali per praticare questo sport invernale hanno durata più breve rispetto ai decenni precedenti.

Dopo il clima, i costi. Con poche eccezioni, le tariffe degli skipass sono generalmente in crescita con medie che vanno dal 5 al 12%; l’inflazione in aumento porta rincari anche per le altre voci di spesa dei vacanzieri, dai trasporti ai noleggi, dai soggiorni alla ristorazione. Per contro sono previste in forte aumento anche le spese degli impiantisti, le tariffe elettriche sono triplicate e quella dello sci è un’industria altamente energivora (anche se al momento non viene riconosciuta come tale e non ha accesso ai relativi bonus tariffari e fiscali) con impianti di risalita, funivie, cannoni sparaneve; se prima il costo dell’energia incideva sui bilanci per il 10%, ora siamo passati al 30. Un settore che già in precedenza ha vissuto per anni grazie ai contributi pubblici, senza i quali per la legge del libero mercato molti comprensori avrebbero dichiarato fallimento, vede complicarsi ulteriormente le possibilità di avere utili di gestione.

Incrociando queste informazioni, qualcuno ha già tirato le somme e deciso di non aprire gli impianti nella stagione invernale che sta per iniziare: è così a Panarotta in Trentino, altri potrebbero seguirne l’esempio. Se i grandi comprensori -pur vedendo ridotti i propri margini di guadagno – potranno garantire uno svolgimento più o meno regolare della stagione sciistica, lo stesso non si può dire con certezza delle stazioni medio-piccole che pure negli ultimi anni sono state premiate dall’aumento di presenze collegato alle conseguenze anche psicologiche della pandemia. Anche per questi motivi le tendenze impiantistiche puntano alla realizzazione di grandi circuiti con numerose piste collegate tra di loro, incuranti del fatto che spesso per fare questo debbano essere “sacrificate” aree naturalistiche di pregio.

È così in Valle d’Aosta, dove si vuole perseguire l’idea di un collegamento funiviario tra i comprensori sciistici di Cervinia/Zermatt e quelli del Monterosa Ski attraverso il Vallone delle Cime Bianche, che pure è zona tutelata. E’ così al Terminillo nel Lazio: in progetto 10 seggiovie, 7 tapis-roulant, 37 chilometri di nuove piste, 7 rifugi, 2 bacini per l’innevamento artificiale a quote generalmente sotto i 2000 m di quota, un vero modello anni ’60. È così tra Trentino e Veneto, dove sull’onda degli entusiasmi legati alle prossime olimpiadi invernali 2026 si vorrebbe inserire gli impianti di Cortina in un grande circuito che va da Arabba/Marmolada alla Val Badia fino ad Alleghe/Civetta. È così sul crinale toscoemiliano, con un megacomprensorio pensato sulla carta per congiungere il Corno alle Scale con l’Abetone in zone dove da anni gli impianti sono in perdita per la scarsità di neve. Da nord a sud il ritornello non cambia, “grandi opportunità di nuova vita per la montagna”.

Il fatto che queste opportunità vengano riproposte da oltre cinquant’anni a questa parte ed oggi ci troviamo al punto in cui siamo pare non faccia riflettere nessuno.

E allora, per quest’inverno? La palla di vetro non è nelle nostre mani, il futuro è un’ipotesi ma le nostre ipotesi le abbiamo già avanzate da tempo: un’offerta turistica diversificata, con maggiore rispetto per la natura – vero valore aggiunto del turismo in montagna – e valorizzazione del territorio e dei suoi abitanti già pesantemente provati dalla progressiva sottrazione dei servizi sociali essenziali. Mancano i soldi, o manca la politica? Si finanziano vecchi e nuovi impianti a fondo perduto mentre si chiudono scuole, ospedali e uffici postali, si ridimensionano i trasporti pubblici e i servizi alla persona. Non sarà lo sci a ripopolare le nostre montagne.

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