Crisi energetica

Piombino, contro il gas si mobilità il territorio (mentre frena la svolta green)

Addio rinnovabili, ritorno al passato - Per liberarsi dal giogo del metano russo, secondo Mario Draghi servono investimenti nelle infrastrutture fossili: come la nave per il gnl a 200 metri dalla costa toscana. Ma servono davvero nuovi impianti? I rigassificatori sono già a Rovigo, Livorno e Panigaglia e possono aumentare l'utilizzo del 20 per cento. Il rischio è rallentare ancora la transizione ecologica

Di Fridays For Future
19 Luglio 2022

Il ritorno della guerra in Europa ha messo a nudo le fragilità di un sistema energetico fondato solo sui combustibili fossili. Le strategie adottate dall’Ue (con il piano REPowerEU) per rendersi indipendente dal gas russo rischiano di far naufragare la transizione ecologica, in quanto basate sulla sola diversificazione dei Paesi di approvvigionamento. In Italia ciò si sta concretizzando con investimenti in infrastrutture del gas e nella richiesta diretta a diversi territori di rallentare, se non azzerare, le proprie prospettive di emancipazione dai combustibili fossili e dal ricatto ambiente-lavoro.

Tra i luoghi colpiti dalla scure di questa strategia emergenziale risalta la città portuale toscana di Piombino, deputata ad ospitare la Golar Tundra: la prima nave rigassificatrice acquistata a giugno da Snam per 330 milioni di euro. Si tratta della necessaria conseguenza di un forte (quanto discutibile, per la sua scarsa sostenibilità sia economica che ambientale) aumento del gas naturale liquefatto (gnl) importato da parte degli stati membri dell’Ue, principalmente dagli Stati Uniti: 15 miliardi di metri cubi nel 2022 (destinato a salire a 50 miliardi di metri cubi entro il 2030).

Scegliere Piombino è il manifesto di una compiuta ideologia: far gravare i costi sociali ed ecologici della diversificazione energetica sui quei territori già contaminati e deindustrializzati. Si tratta infatti di una città di 32 mila abitanti in una provincia, quella di Livorno, che peraltro comprende già un rigassificatore proprio a largo del porto labronico. Una città dall’anima di acciaio e dalle “radici di ferro”, che affondano sino agli etruschi del golfo di Baratti e della piccola Populonia, per approdare alla stabile Ilva novecentesca, poi privatizzata (per “storica necessità”) nel 1993 con la cessione al gruppo bresciano della famiglia Lucchini. Oggi è un territorio in dismissione: nel 2014 l’ultima colata e il fallimento della Lucchini, quindi nel 2018 l’acquisto da parte del colosso mondiale dell’acciaio Jindal Steel. Molte promesse, nessun serio piano industriale. Lo stesso Stato che, dopo anni di impegni disattesi, chiede un sacrificio dell’interesse collettivo per un superiore interesse nazionale.

Il territorio allora trasversalmente si mobilita, con un sindaco di Fratelli d’Italia in piena (quanto forse opportunistica) incoerenza con la linea espressa a livello nazionale dal proprio partito in materia energetica. Alcuni dubbi strettamente legati all’opera, in particolare in tema di sicurezza, restano comunque irrisolti. Si tratta infatti di un impianto molto vicino alla costa: 200 metri contro le 12 miglia di distanza e il raggio di 3 miglia di interdizione alla navigazione dell’impianto di Livorno (che per essere realizzato a Piombino causerebbe la chiusura di buona parte della città).

Nella narrativa del governo Draghi per ridurre notevolmente le importazioni di gas dalla Russia non sembra esserci alcuna alternativa a un rilancio degli investimenti in nuove infrastrutture fossili. Il gruppo di ricerca italiano “Ecco” ha però evidenziato come in realtà ciò sia possibile attuando una serie di interventi che in un solo anno diminuirebbero del 50% le succitate importazioni: un’elettrificazione dei consumi finali, una maggiore adozione delle rinnovabili e una strutturale riduzione degli sprechi energetici e dei consumi.

Nell’analisi condotta, i gasdotti “non russi” già esistenti risultano ad oggi sottoutilizzati e i rigassificatori di Rovigo, Livorno e Panigaglia potrebbero incrementare il proprio utilizzo di almeno il 20%. I rigassificatori di Rovigo e Panigaglia hanno operato nel 2021 al 26% delle loro capacità, di conseguenza la scelta di dirottare ulteriori fondi verso un aumento della capacità di rigassificazione, attraverso la costruzione di nuovi impianti, è immotivata.

La stessa volontà di aumentare l’estrazione di gas nazionale non solo non porterebbe ad una diminuzione del prezzo delle bollette, ma ci condurrebbe a disattendere i già blandi impegni presi per l’abbattimento delle emissioni climalteranti, il cui ruolo è indissolubilmente legato all’aumento delle temperature e all’intensificazione degli eventi estremi, come la siccità.

Costruire oggi nuove infrastrutture per il gas comporta investimenti pubblici di tale portata (come anche quello per allacciare una nave rigassificatrice alla rete nazionale) da renderle difficilmente provvisorie e legate solo alla contingenza della crisi energetica. Ciò vuol dire rallentare la transizione ecologica e rendere sempre più difficile un rapido, quanto necessario, abbandono dei combustibili fossili.

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