L’intervista

Ainis: “È il premier che ha sfiduciato i suoi alleati: la maggioranza c’è”

Michele Ainis - “Conte avrebbe potuto strappare sull’Ucraina, quando Draghi ha silenziato il Parlamento”

19 Luglio 2022

Professor Ainis, è una crisi paradossale: Draghi non è stato sfiduciato, anzi si è dimesso dopo aver ottenuto una fiducia.

Ciascuno degli attori di questa crisi ha assunto comportamenti che a me sembrano paradossali. È certo un paradosso quello di Draghi, che ha perso la fiducia nella propria maggioranza, anziché il contrario. Ma sono paradossali pure i retropensieri di Conte e Salvini. Potrebbero aver fatto male i calcoli: volevano una stagione di opposizione per riprendere ossigeno, dopo le Amministrative e i brutti sondaggi. Invece, se si andasse a votare domani, passerebbero di fronte all’opinione pubblica come degli sfasciacarrozze.

Sono mesi che Draghi esercita il mandato con riluttanza.

Forse non accetta di farsi logorare, di incassare mezzi insuccessi come su fisco e concorrenza. Pensavo già due mesi fa che saremmo arrivati a luglio con dei sentori di crisi, ma non immaginavo che si potesse aprire su un termovalorizzatore.

Draghi non vorrà logorarsi, ma non è mai sembrato incline al confronto con il Parlamento, non crede?

È vero, i margini sono ridotti, il Parlamento è afasico, senza voce: l’emergenza lo ha del tutto silenziato. Sull’Ucraina, è stato completamente scavalcato dal governo. Per questo non comprendo come si possa aprire una crisi sull’inceneritore di Roma. Faccio una considerazione politica: se il M5S avesse strappato sulla guerra e sulle armi, gli italiani avrebbero capito di più.

Nel “decreto Aiuti” però c’era di tutto. Una norma, ha scritto lei, “vietata dalla giurisprudenza costituzionale”.

Si è consolidata una prassi odiosa: siccome c’è una paralisi legislativa, allora l’unico treno che passa per le Camere è quello del decreto legge. Poi sul treno giallo vengono appiccicati vagoni rossi, verdi, blu: diventa arcobaleno. Costringi a un voto unico su un fritto misto: magari a qualcuno sono indigesti i carciofi e lo obblighi a mangiarli, o a rifiutare tutto il piatto. Un ricatto, una violenza alla libertà di voto dei parlamentari.

Perché andare al voto in Italia sembra un dramma?

In altre democrazie, le emergenze non impediscono di andare al voto, anche se noi abbiamo liturgie costituzionali più lunghe e complicate: lo scioglimento delle Camere lascerebbe per almeno tre mesi in un sostanziale vuoto di potere. E poi si voterebbe di sicuro col Rosatellum, avremmo la certezza di un altro Parlamento in cui sono i segretari di partito che decidono chi entra e chi esce.

Avremmo comunque un governo in carica per i proverbiali “affari correnti”. Quali sarebbero i confini del potere di un Draghi dimissionario?

Anche sui confini degli affari correnti c’è opacità: durante le crisi è il governo stesso che indirizza i suoi ministri su quello che si può fare e non si può fare. Dovrebbe essere il Parlamento a stabilire quel perimetro, invece il governo fa da sé. Di certo, un governo sfiduciato può ancora fare decreti legge e le Camere possono convertirli anche dopo essere state sciolte.

Ci sarebbe differenza tra un governo che è stato sfiduciato e un altro che non ha ricevuto la sfiducia, come nel caso di Draghi?

È una distinzione che si può fare, ma nemmeno in questo scenario si potrebbe ragionare in termini di pienezza dei poteri. Il governo trae legittimazione dal consenso delle Camere, è come un matrimonio: se uno dei due coniugi non c’è più…

Domani è il giorno della verità, qual è lo scenario che ritiene più plausibile?

Ho l’impressione che la via per evitare la crisi sia davvero stretta. Da una parte Forza Italia e Lega hanno negato di essere disposte a tornare in maggioranza con i Cinque Stelle, dall’altra Draghi ha detto che senza i Cinque Stelle lui non governa. Il rebus si potrebbe risolvere solo se ci fosse un’ulteriore scissione tra i parlamentari del Movimento, lasciando fuori solo quelli che rimangono con Conte. Questo permetterebbe a Draghi di sostenere di avere ancora l’appoggio della maggior parte del M5S e che poco o nulla è cambiato.

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