Emergenza clima

Mille miliardi di dollari: così la finanza mondiale supporta il settore del carbone

Parzialmente in controtendenza i dati italiani: l’esposizione dei principali attori quali UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019

Di Luca Iacoboni*
2 Marzo 2021

Poco più di cinque anni veniva firmato l’Accordo di Parigi sul clima, con l’obiettivo di cercare di mantenere l’aumento medio della temperatura del Pianeta entro 1,5 gradi Celsius. Per dare seguito a quanto sottoscritto a livello globale nella capitale francese, una delle prime mosse da mettere in pratica dovrebbe essere abbandonare lo sfruttamento dei combustibili fossili, primo tra tutti il carbone. La fonte fossile più nociva per il clima del Pianeta.

Se in alcuni Paesi questa fonte fossile ha già una data di scadenza – in Italia le centrali a carbone dovrebbero essere spente nel 2025, con l’eccezione della Sardegna, dove questo dovrebbe avvenire al più tardi entro il 2027 – in alcune zone del Pianeta è ancora ampiamente utilizzata, anche a causa degli investimenti finanziari che ancora attrae.

Dal 2015 ad oggi, infatti, il supporto della finanza globale al settore del carbone non è affatto diminuito e, ad oggi, ammonta a più di mille miliardi di dollari. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata nei giorni scorsi da Urgewald, Re:Common e altre 27 Ong internazionali, la prima in assoluto che tenta di analizzare l’esposizione di banche commerciali e investitori nei confronti dell’industria del carbone. La ricerca, aggiornata a gennaio 2021, esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone presenti sulla Global Coal Exit List.

Parzialmente in controtendenza i dati sulla finanza italiana: l’esposizione al carbone dei principali attori quali UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019. La posizione di avanguardia spetta a Unicredit che, di recente, ha deciso di adottare una politica che entro il 2028 dovrebbe progressivamente azzerare qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone.

Generali prosegue nel suo disinvestimento dall’industria carbonifera, sulla scia degli impegni presi nel 2018. Una fuoriuscita dal settore che procede tuttavia troppo a rilento, perché gli investimenti nel settore ammontano ancora a più di 200 milioni di dollari, di cui il 10% in ČEZ e PGE, società che stanno ostacolando la transizione energetica rispettivamente in Repubblica Ceca e Polonia. Nonostante la ricerca si focalizzi solamente sugli investimenti, bisogna anche tenere in considerazione i contratti assicurativi ancora in essere stipulati dal Leone di Trieste con le due società, che aggravano ulteriormente la sua posizione.

Sorprendentemente, tra il 2019 e il 2020 Intesa Sanpaolo ha diminuito i prestiti al carbone di circa il 70%, nonostante una delle policy settoriali più deboli in Europa. Un risultato importante, ottenuto grazie alla pressione esercitata nell’ultimo anno da Greenpeace e Re:Common. “È ora che Intesa sostenga questi passi con l’adozione di una policy sul carbone robusta come quella di UniCredit”, commenta Re:Common. “È l’unica maniera per evitare che il sostegno al carbone torni a crescere in futuro, e anzi diminuisca costantemente fino ad azzerarsi entro il 2030”.

Se la Conferenza sul clima di Glasgow del 2020 si fosse tenuta regolarmente – è stata rinviata al 2021 per l’emergenza pandemica – avrebbe visto la finanza globale tra i principali imputati per la crisi climatica in corso. Il 17% degli oltre mille miliardi investiti è imputabile ai colossi statunitensi Vanguard e BlackRock e, tra azioni e bond, gli Stati Uniti pesano per più della metà degli investimenti globali, circa 602 miliardi di dollari. Anche le banche commerciali non hanno fatto certo di meglio e nel biennio successivo al report IPCC del 2018 hanno erogato 315 miliardi di dollari all’industria del carbone. In prima fila tre istituti di credito giapponesi: Mizuho (22 mld), Sumitomo Mitsui (21 mld), Mistubishi UFJ (18 mld).

È sperabile che quest’anno il settore si faccia trovare più preparato all’appuntamento con la CoP Clima di novembre che si terrà a Glasgow, ma di cui l’Italia – che ospiterà a Milano la CoP Giovani e una riunione intersessionale a settembre/ottobre – ha la copresidenza. Inoltre, appena una settimana prima della CoP, a Roma si terrà la riunione del G20 a presidenza italiana.

Nell’anno della COP26, co-presieduta dall’Italia, e del G20 di Roma, la finanza italiana non può tirarsi indietro e deve dare un chiaro segnale. Gli occhi del mondo saranno infatti puntati sul nostro Paese in materia di clima, ambiente e transizione ecologica.

*responsabile campagna energia e clima di Greenpeace Italia

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