Il nuovo mostro post-apartheid è l’industria ArcelorMittal. La Taranto del Sudafrica

Di Lina Rhrissi
28 Dicembre 2020

Nelle strade c’è odore di fogna. Dei bambini camminano tra i rifiuti. Da lontano si vedono i fumi grigi e neri degli impianti industriali. “Ieri ha piovuto, quindi oggi il cielo è più chiaro. Ma in genere si riesce appena a scorgere l’orizzonte”, afferma Samson Mokoena, co-fondatore dell’associazione Veja (Vaal Environmental Justice Alliance). Sharpeville, storica township a 60 km a sud di Johannesburg, è uno dei simboli del fallimento del Sudafrica post-apartheid. Il 21 marzo 1960 si verificò qui il più grande massacro degli anni dell’apartheid: la polizia sparò su migliaia di persone di colore che si erano riunite davanti al commissariato per protestare contro i “passaporti interni”, che autorizzavano o meno i neri a vivere e a lavorare nelle città. 69 furono i morti, 180 furono i feriti.

È sempre qui che, nel 1996, Nelson Mandela firmò la nuova Costituzione. Oggi la regione del Triangolo del Vaal è una delle più inquinate del paese. Jeanette Puseletse aveva 19 anni nel 1960: “Ho visto i soldati sparare più volte per assicurarsi che le persone fossero morte. Una donna incinta che conoscevo è caduta a terra. Il suo bambino è morto con lei. Poi la pioggia ha lavato il sangue”, racconta la donna di 79 anni. Per la prima volta, dopo quel massacro, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò una risoluzione, la n.134, che condannava le politiche razziali del Sudafrica. Il Partito nazionale imprigionò centinaia di attivisti. Le organizzazioni nere abbandonarono la non violenza e costituirono dei gruppi armati. Il massacro di Sharpeville è spesso visto come l’inizio della fine del regime dell’apartheid. Jeanette nutriva grandi speranze dopo le prime elezioni democratiche del 1994: “Ma non c’è stato alcun cambiamento”, dice, tossendo. La sudafricana, che non ha mai lasciato la township, soffre di asma da dieci anni. Come lei, molte persone della regione, attraversata dal fiume Vaal, soffrono di malattie legate all’inquinamento, asma, bronchite, sinusite, infezioni dell’orecchio e del tratto respiratorio, cancro ai polmoni. Molti sono i casi di bambini nati morti. Dal 2006 la regione è stata dichiarata Vaal Triangle Airshed Priority Area (Vtapa) a causa dell’inquinamento atmosferico che supera fino a 2,5 volte gli standard sanitari internazionali. In Sudafrica, 20 mila persone muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento atmosferico. Un rapporto del Centre for Environmental Rights (Cer) indica che l’inquinamento dovuto alla Lethabo, la centrale elettrica a carbone di Eskom, uccide da solo 204 persone ogni anno. Gli abitanti della township denunciano anche le esalazioni tossiche delle acque di scarico. “Moriremo per colpa di queste fogne”, dice il figlio di Jeanette, Jeffrey Radebe, 55 anni. Jeffrey ci mostra il grande lago che si trova dall’altro lato della strada. È il Dlomo Dam, patrimonio nazionale dal 2011: è da lì che, da più di vent’anni, risalgono i cattivi odori. Sull’altra sponda, William Choku, 60 anni, lancia la canna da pesca nell’acqua torbida. Il giorno prima ha mangiato tre pesci che aveva pescato anche se gli scarichi di acque reflue nel Vaal, con livelli estremamente elevati di E.coli, possono provocare infezioni e favoriscono la presenza di alghe blu-verdi pericolose per l’uomo e dannose alla biodiversità. Per non parlare di tutte le sostanze chimiche che vengono scaricate dalle fabbriche. “Non è buono per la salute, ma cosa possiamo farci?”, dice. All’origine di tanto inquinamento ci sono soprattutto tre aziende: il gigante sudafricano dell’elettricità Eskom, l’impianto siderurgico ArcelorMittal (ex Iscor, acquistato nel 2006 dal gruppo indiano) e l’azienda di petrolchimici Sasol.

Il Triangolo del Vaal è diventato un hub industriale dopo la seconda guerra mondiale, quando il nuovo regime dell’apartheid (1948-1994) mirava a diventare indipendente sul piano economico. Sasolburg è nata nel 1954 per accogliere gli alloggi dei dipendenti di Sasol. Le township, come Sharpeville, erano state create per fornire manodopera alle fabbriche. Molti neri vennero fatti trasferire qui con la forza. Eskom emette quasi la metà delle emissioni di CO2 del paese, Sasol l’11%. ArcelorMittal SA (Amsa) consuma l’equivalente di 39.200 piscine olimpiche d’acqua all’anno. Samson Mokoena combatte da anni con tro l’acciaieria. “Mio padre ha lavorato per Iscor per 45 anni, mio fratello per 25. Nel 1995, abbiamo potuto approfittare della politica di ridistribuzione della terra del nuovo governo e per la prima volta siamo diventati proprietari terrieri nella vicina provincia dello Stato Libero”, racconta l’attivista. Ma molto presto le famiglie scoprirono che la terra era contaminata e non si poteva coltivare. Nel 2002, hanno chiesto al tribunale di vietare a Iscor di inquinare le sorgenti d’acqua sotterranee, ma hanno perso la causa e molti sono stati costretti a svendere la loro terra, spesso alla stessa azienda, e a trasferirsi. Nel 2006, Samson Mokoena ha fondato la Veja per difendere le popolazioni della regione colpite dall’inquinamento. Nel 2014, insieme alla Cer, ha vinto una causa contro Amsa: la corte d’appello ha obbligato l’azienda a rendere pubblici i risultati di diversi test ambientali, rivelando una serie di attività inquinanti per l’aria e l’acqua della regione. Secondo un rapporto del ministero dell’ambiente del 2013, le industrie, le miniere e le discariche sono le principali fonti di inquinamento atmosferico nel Triangolo del Vaal. Il problema non si limita alle emissioni di CO2: le industrie emettono cocktail di prodotti tossici, come anidride solforosa, ossidi di azoto, di mercurio, di ozono, idrogeno solforato e metalli pesanti. Sasol è stata di recente accusata dalla Commissione sudafricana per i diritti umani di aver riversato deliberatamente del vanadio e altre sostanze chimiche nel Vaal. ArcelorMittal è responsabile della presenza di resti di catrame nelle acque sotterranee vicino allo stabilimento di Vanderbijlpark. All’inquinamento contribuiscono la vetustà delle infrastrutture e la corruzione, soprattutto nel caso di Eskom, che fornisce il 95% dell’elettricità del Sudafrica. La crisi della compagnia elettrica, con un debito di 484 miliardi di rand (circa 26,4 miliardi di euro), è il risultato di anni di cattiva gestione che hanno raggiunto l’apice sotto la presidenza di Jacob Zuma (2009-2018). “Per le sue centrali elettriche Eskom utilizza del carbone di bassa qualità.

I costi della fornitura vengono gonfiati. Il settore dei trasporti è gestito da mafie”, spiega Stephan Hofstatter, autore del libro “Licence to Loot”, uscito nel 2018. In questo contesto si aggiunge la carenza di servizi municipali di Sharpeville. I rifiuti non vengono raccolti e gli abitanti si ritrovano a dover formare dei grossi mucchi di spazzatura. Thato Lestoko, 28 anni, e una cinquantina di vicini si sono organizzati per ripulire il parco della città diventato un’immensa discarica. “Le persone bruciano carta e plastica, altrimenti si ritrovano con la spazzatura in casa”, dice. Per contrastare la cattiva gestione delle acque reflue e riparare le stazioni di pompaggio in gran parte difettose, il governo ha schierato l’esercito lungo il fiume Vaal tra novembre 2019 a febbraio 2020. Alla periferia della township, gli abitanti del quartiere di Phuma Sibethane sono ancora più poveri. Non hanno servizi igienici, né acqua né elettricità. Per scaldarsi e cucinare bruciano legna, carbone e talvolta anche gli stessi rifiuti. La pandemia di Covid-19 ha aggravato ancora di più la situazione. Il Sudafrica, con più di 23.000 morti, è il paese più colpito dal virus nel continente africano. Secondo uno studio della rivista Cardiovascular Research, pubblicato lo scorso 26 ottobre, il 18% dei decessi per Covid in Sudafrica è legato alla presenza di altre patologie dovute all’inquinamento atmosferico, contro il 15% dei decessi su scala mondiale. Cifra che sale al 30% nelle aree più inquinate come il Triangolo del Vaal.

Traduzione di Luana De Micco

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