La cura “italiana”

Monoclonali e mancato trial, riunione straordinaria Aifa per capire chi si è opposto alla sperimentazione

21 Dicembre 2020

Il “trial mancato” svelato dal Fatto finisce questa mattina sul tavolo di una riunione urgente dell’Aifa, l’agenzia del farmaco che a ottobre respinse la proposta di sperimentazione gratuita del Bamlanivimab (LY-CoV-555), l’anticorpo neutralizzante monoclonale sviluppato dalla multinazionale Eli Lilly e prodotto proprio in Italia. E su quel tavolo si potrebbe riaprire in tempi rapidissimi la strada ai monoclonali in uso all’estero, finora lasciata cadere nel vuoto.

A metterla all’ordine del giorno è stato il neopresidente dell’Agenzia del farmaco Giorgio Palù, che lo conferma al Fatto. Nel periodo in cui la sperimentazione veniva proposta e cassata, tra il 7 e il 29 ottobre, vestiva ancora i panni del virologo di fama mondiale e già sosteneva pubblicamente la necessità che l’Italia guardasse con attenzione non solo ai vaccini ma anche alle terapie anticorpali sperimentate all’estero con risultati promettenti. Come abbiamo raccontato, a inizio ottobre ne erano state offerte all’Italia 10 mila dosi: gratis e prodotte qui.

Il nostro Paese, già schiacciato dalla seconda ondata, avrebbe potuto essere il primo in Europa a sperimentarlo, somministrando ai malati l’unica cura al mondo autorizzata contro il Covid. Il farmaco riduce la carica virale e per i pazienti ad alto rischio diminuisce i ricoveri del 72%: in proporzione alle fiale, sarebbero stati risparmiati almeno 950 ricoveri.

Ora si vuole capire sulla base di quali valutazioni scientifiche e regolatorie è stato deciso di accantonarlo. Chi si è opposto? Perché? Il Bamlanivimab viene somministrato da un mese e mezzo negli Stati Uniti con risultati incoraggianti. La sperimentazione in Italia avrebbe potuto confermare i dubbi degli esperti italiani, oppure dimostrare che il farmaco è più efficace della Tachipirina che l’Aifa consiglia ai non ospedalizzati. A quanto risulta al Fatto, nella riunione chiave del 29 ottobre tra la multinazionale, Aifa, ISS e Cts, era stato proposto di non fermarsi agli ai risultati delle ricerche condotte su campioni limitati ma di usare i dati clinici degli ospedali americani che lo stavano già somministrando. Sul fronte regolatorio appare ormai certo non fosse necessario aspettare l’autorizzazione dell’Ema.

In Italia è stata fatta una legge apposta: la 648/96 consente l’uso di farmaci non autorizzati dall’Ema per i quali non esista una terapia alternativa. Accade nel 2005, ad esempio, col Trastuzumab (tumore alla mammella), un altro monoclonale. La condizione necessaria – dice la legge – è che esistano “studi conclusi, almeno in fase II, che dimostrino un’efficacia adeguata con un profilo di rischio accettabile a supporto dell’indicazione richiesta”. Nel caso del farmaco di Eli Lilly queste condizioni ci sono. “Sono farmaci molti importanti”, dice il presidente della Società Italiana di Farmacologia, Giorgio Raccagni. “Si dimostrano efficaci se somministrati precocemente a pazienti ad alto rischio perché riducono considerevolmente la carica virale e di conseguenza i ricoveri che saturano gli ospedali. Confido che l’Aifa prenda una decisione nella direzione di altri paesi europei”. Questo sarebbe anche l’indirizzo del ministro Speranza che non ha mai avuto preclusioni alla via dei monoclonali, non solo patrocinando quello italiano in fase di studio ma anche verso quelli sviluppati all’estero.

Il paradosso è che il ministro ha firmato una formale manifestazione di interesse all’acquisto da parte dell’Italia in una riunione con la multinazionale – presente anche Arcuri – il 16 novembre, cioè quando era già stata lasciata cadere l’opzione delle 10 mila dosi gratis. Il loro controvalore era 10milioni di euro, che avremmo potuto risparmiare insieme a molte vite.

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