Il Dossier - Francia, missioni poco segrete

Truppe speciali, altro che anonimato: è tutto on line

Basta un’app - ‘Strava’ registra performance sportive. Tramite quella, si può risalire a un parà o un legionario impegnati in scenari a rischio e ai loro spostamenti. I soldati pubblicano di tutto, Al Qaeda prende appunti: come succede nel Sahel

Di Justine Brabant e Sébastien Bourdon
14 Dicembre 2020

Dopo il lavoro, Alexandre (tutti i nomi sono di fantasia) rientra a casa in sella alla sua bici da corsa. Pedala per un’ora attraversando il centro di Bayonne e poi per altri venti chilometri fino al tranquillo paesino dei Paesi Baschi dove vive. Alexander è un soldato delle forze speciali francesi e lavora alla Cittadella di Bayonne, dove ha sede il primo reggimento di paracadutisti della fanteria di marina. Per questo motivo, per garantire la sua protezione, nessuna informazione sulla sua vita privata e sulle operazioni a cui partecipa dovrebbe essere pubblica. Eppure, tramite l’app di fitness Strava, che registra le performance ciclistiche di Alexandre, siamo riusciti a risalire al suo profilo e a tracciare i suoi spostamenti in Francia.

Nel novembre 2019, il militare è stato geolocalizzato anche durante una partita di calcio a Erbil, in Iraq. Il suo orologio connesso Garmin Fenix 3 ha registrato tutti i suoi movimenti. Nell’agosto 2018, è stato rintracciato anche mentre andava in bici in una base delle forze speciali francesi a nord di Ouagadougou, in Burkina Faso. Due mesi dopo, partecipava a delle esercitazioni vicino all’aeroporto di Timbuktu, in Mali. Tutti e tre i paesi sono teatro di alcune delle operazioni più rischiose a cui partecipa l’esercito francese. Il 30 novembre, tre basi francesi in Mali sono state attaccate da un gruppo terrorista vicino a al-Qaeda. Conoscendo i rischi, il ministero vieta ai suoi soldati dispiegati all’estero, e in particolare alle unità d’élite impegnate nel Sahel, di pubblicare dati personali online. Eppure, in poche ore, e solo incrociando dati pubblici, siamo riusciti a raccogliere un numero impressionante di informazioni su Alexandre: l’indirizzo di casa, i percorsi a piedi e in bici più frequenti, i luoghi in cui è stato inviato per lavoro negli ultimi due anni, ma anche il suo nome, quelli della compagna e del figlio, oltre che le loro foto. La cosa è sorprendente sapendo che da molti anni in Francia l’anonimato delle truppe d’élite è iscritto nel codice penale. La legge n.2016-483 del 20 aprile 2016 punisce con cinque anni di reclusione e una multa di 75.000 euro “la rivelazione o la diffusione, con qualsiasi mezzo, di tutte le informazione che potrebbero condurre all’identificazione di un membro di un’unità delle forze speciali”. Il legislatore probabilmente non aveva previsto che queste informazioni “sensibili” sarebbero state condivise proprio dai diretti interessati. Alexandre non fa eccezione. In tutto, Mediapart ha trovato più di mille profili Strava che sembrano appartenere a soldati francesi. Di questi, quasi 200 appartengono molto probabilmente a membri delle forze speciali, più di 800 a militari dispiegati in operazioni esterne, geolocalizzati all’interno delle basi dell’esercito francese in Mali, Niger, Burkina Faso, Siria e Kuwait. La maggior parte di questi soldati, come Alexandre, ha lasciato un certo numero di informazioni private sui social: nomi, foto, informazioni sulle persone che frequentano, persino l’indirizzo di casa. La lista degli account Strava identificati da Mediapart è stata inviata al ministero due settimane prima della pubblicazione di questo articolo, in modo da permettere ai soldati interessati di cancellare i loro dati. La “Guida al buon uso dei social network” che il ministero consegna in teoria a tutti i suoi dipendenti è chiara: “Ogni diffusione di contenuti relativi all’attività professionale e/o a quella dell’istituzione sui social network può rivelarsi una minaccia per la sicurezza del personale della difesa, delle operazioni e del loro successo”. Ai soldati in servizio è raccomandato di “disattivare la geolocalizzazione dello smartphone” e si ricorda che è vietato “diffondere foto e video sulla base e le missioni”.

Una ricerca su Instagram è bastata per trovare più di 1.500 foto e video realizzati da soldati impegnati nell’operazione Barkhane, che lotta contro i jihadisti nel Sahel, postate nel 2017-2020. Il profilo Instagram di Miguel è pieno di selfie ma, cercando bene, le centinaia di foto ci hanno permesso di risalire al suo cognome, al reggimento di appartenenza, al grado, ai luoghi e alle date di quasi tutte le sue vacanze dal 2017, oltre che di trovare foto della compagna e di colleghi. Il soldato ha anche diffuso un video girato all’interno di un aereo per il trasporto di truppe e materiale, uno di un Mirage dalla base militare di Niamey (Niger) e una foto della base di Gao, in Mali. In una foto pubblicata il 19 maggio 2020, sull’insegna di un negozio si legge il nome del paese in cui il soldato si trova, Tin-Akoff, nel Burkina Faso settentrionale. Lì, l’11 novembre, lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco a 14 soldati burkinabé, alleati della Francia. “I francesi sono bersagli regolari dei gruppi jihadisti, che usano argomenti teologici per giustificare la loro violenza”, spiega Yvan Guichaoua, ricercatore alla Brussels School of International Studies della University of Kent. Più che ricorrere a scontri diretti preferiscono usare “tecniche di intimidazione, come nel caso dei razzi lanciati di recente a Gao, Kidal e Menaka, piazzano dispositivi esplosivi improvvisati lungo il passaggio dei convogli e adottano tattiche che permettano loro di colpire senza esporsi troppo”. “La maggior parte delle informazioni che raccolgono per colpire le pattuglie – aggiunge Yvan Guichaoua – proviene da informatori presenti sul posto. Sanno già dove si trovano le basi francesi. Ma non è escluso che recuperino online l’identità dei soldati”. Le competenze tecniche non mancano. Nel 2014, lo Stato islamico in Africa occidentale (EIAO) ha chiesto all’organizzazione Stato islamico consigli su come utilizzare delle attrezzature rubate all’esercito camerunese. L’Isis ha fornito un tutorial su come funziona un drone. Eppure il ministero francese della Difesa è stato allertato sin dal 2018 sul problema dei dati personali presenti online. In una mail del 3 dicembre, ci è stato riferito che “è stato dato ordine di vietare l’uso di certi dispositivi connessi, sia nelle basi militari che all’aperto”. Sulle eventuali sanzioni previste per i soldati non ci è stato risposto nulla. Il problema potrebbe essere legato al numero gigantesco di effettivi del Ministero della Difesa, che conta 268.000 dipendenti nel 2020. “Da tempo il ministero sa che che bisogna tenere una certa igiene digitale.

Ma non bisogna dimenticare che l’esercito francese conta diverse centinaia di migliaia di persone – osserva il deputato Thomas Gassilloud, coautore di un rapporto sulla sfida del digitale negli eserciti pubblicato nel 2018 – lo sforzo educativo deve essere costante perché arrivano nuove reclute ogni anno”. Il ministero deve far fronte ad un’altra sfida: non far “fuggire” i nuovi arrivati e le potenziali reclute. Misure troppo drastiche, come un accesso a Internet ristretto, rischierebbero infatti di dissuadere dei giovani, proprio ora che l’esercito francese invece ha bisogno di reclutare (16.000 persone nel 2020 solo per l’esercito). Nel 2017, il ministro della Difesa, Florence Parly, ha ammesso a malincuore che la presenza del wi-fi negli alloggi militari è un fattore “attrattivo” per il mestiere. L’anno dopo, il “piano famiglia” del ministero ha fornito wi-fi gratuito a tutte le guarnigioni e migliorato l’accesso a Internet dei soldati dispiegati all’estero. Ma il problema non riguarda solo le giovani reclute. Tramite Strava, abbiamo ritrovato un centinaio di profili che sembrano appartenere a dei dipendenti del ministero della Difesa, a Parigi. Incrociando dei dati pubblici, abbiamo identificato ventitré ufficiali presenti su questo social con i loro veri nomi, tra cui due colonnelli, tre tenenti colonnello e sette comandanti. Abbiamo anche ritrovato il profilo Facebook pubblico del vice capo di gabinetto del ministro Parly, comprese delle foto di famiglia. La “Guida” del ministero raccomanda, invece, di usare sui social solo pseudonimi.

(Traduzione di Luana De Micco)

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