Covid-19

Test salivari, ok dello Spallanzani. Il tampone si farà solo ai positivi

La sfida del tracciamento. Svolta. In settimana atteso il nullaosta dell’Istituto: così più diagnosi senza sovraccaricare i laboratori Il via dalle scuole di Roma

22 Settembre 2020

C’è il via libera dell’Istituto Spallanzani. Come accaduto per altre tecniche di screening rapido dei contagi da Covid-19, il Lazio è pronto a fare da apripista per i test rapidi salivari. In settimana il “timbro” sul nullaosta: “Solo una formalità”, confermano fonti qualificate al Fatto. Da lunedì, al massimo ai primi di ottobre, i kit che forniranno una risposta in meno di 10 minuti – in realtà appena 3, ma bisogna considerare anche il tempo necessario per le operazioni connesse – saranno a disposizione delle Uscar, le unità mobili coordinate da Pier Luigi Bartoletti, e verranno utilizzati soprattutto nelle scuole, a fronte di casi sospetti e situazioni critiche.

La procedura prevede che solo i soggetti che risulteranno positivi vengano poi sottoposti a tampone. I salivari, quindi, insieme a sierologici e antigenici sono pensati per effettuare uno screening preliminare nelle zone che presentano situazioni di criticità, nelle quali solo in un secondo momento verrà utilizzato il test classico, considerato lo standard per la diagnostica. Un modo per utilizzare in maniera più mirata quest’ultimo e non intasare i laboratori, preso atto che al momento non pare possibile moltiplicare il numero dei molecolari come chiesto da diversi ambienti e rappresentati del mondo scientifico. Si tratta di test, spiegano gli esperti, che si adattano perfettamente ai bambini e ai disabili, perché percepiti come meno invasivi in confronto al classico tampone – che viene inserito nel naso a un livello di profondità che può provocare un certo fastidio – specie nei più piccoli – e implicano una minore collaborazione del paziente. “Certo, per i nostri operatori il rischio di contagio è più elevato – sottolinea Bartoletti – perché i bambini non sempre collaborano e i sanitari sono più esposti ai fluidi provenienti dalla bocca. Ma, chiaramente, permetteranno uno screening più ampio fra queste categorie”.

La verifica sul campo nel Lazio servirà per capire nel concreto l’affidabilità dei kit salivari come attività di monitoraggio del virus e, soprattutto, il suo funzionamento nel contesto scolastico. Dove, fanno sapere dall’unità di crisi regionale, questi test andranno ad aggiungersi a quelli già a disposizione: tamponi molecolari classici, test antigenici rapidi, test sierologici. In relazione alle esigenze, al contesto e alla necessità di screening, tutti questi strumenti saranno utilizzati al fine di individuare i positivi e permettere ai plessi scolastici coinvolti di riprendere le lezioni il prima possibile. “L’obiettivo è sempre lo stesso: evitare la formazione di focolai – spiega ancora Bartoletti –. Noi dobbiamo essere in grado di capire quanto il virus si è diffuso in un determinato luogo. E poi agire in maniera mirata”. Le unità mobili – dei veri e propri camper – sono nate nel Lazio durante il lockdown e sono state messe a punto attraverso la collaborazione con il virologo Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’università di Padova e tra gli ideatori del cosiddetto “modello Vo’” utilizzato dal Veneto: viaggeranno per tutto il Lazio ogni qual volta ci sarà una situazione critica in una scuola.

Il Lazio fin qui ha già fatto da apripista per i test rapidi antigenici, ampiamente utilizzati all’aeroporto di Fiumicino nei giorni più critici del rientro dei vacanzieri e da qualche giorno a disposizione dei drive-in, dove tuttavia vengono somministrati soltanto a chi rientra dai Paesi a rischio. Grazie a questa “sperimentazione”, ad esempio, si è potuto apprendere come questi abbiano bisogno di una carica virale mediamente elevata per essere attendibili. In questi giorni il commissario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri pubblicherà la richiesta di offerta per comprarne 5 milioni da utilizzare in porti e aeroporti. La stessa cosa è avvenuta per i test sierologici, “provati” nel mese di aprile a Nerola, uno dei principali focolai del Lazio, dove nel giro di 72 ore furono testati tutti gli abitanti del paese – un piccolo centro nei pressi del reatino con meno di 2mila abitanti – che vennero quindi “liberati” dalla zona rossa in pochi giorni. Ogni volta, dopo le verifiche “sul campo” nel Lazio, le varie tecnologie sono poi state adottate da tutte le Regioni d’Italia. Ora poi sempre allo Spallanzani si lavora sui molecolari “rapidi” che possano ottenere risultati in 90 minuti.

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