Il governatore - Emergenza e sospetti

Addio al De Luca cabarettista: riecco l’odio per pm e giornali

6 Agosto 2020

La parabola di Vincenzo De Luca – da governatore a meme – sembrava un’idea geniale. Durante l’emergenza il resto dell’Italia rantolava tra governatori nel panico e altri quieti che incrociavano le dita, De Luca si prendeva la scena e con una narrazione alla Felice Caccamo (gli mancava solo il golfo di Napoli sulla cravatta), lui recitava testi da cabaret.

Testi che preparava con cura, una cura alla Franca Leosini che conosce bene la potenza delle parole nell’era dei social e dice, rendendo la frase virale, “frenò gli ardori lombari inforcando le mutande” anziché “s’è rivestito”. Solo che la Leosini fa tv, De Luca dovrebbe fare politica.

Ecco, De Luca è andato avanti per mesi, mentre al Nord si moriva come mosche, a cercare il guizzo virale. A prepararsi la frase a effetto che occupasse le home page, che entrasse in trend topic, che diventasse l’ennesimo tormentone social. Perfino la tv giapponese, in quel periodo, gli ha dedicato un servizio presentandolo come una sorta di governatore alla Mai dire Banzai, come quel qualcosa che fa sbellicare dal ridere mentre qualcuno si fa male sul serio. E così sono diventate cult le frasi sul lanciafiamme, sui “vecchi cinghialoni della mia età che vanno a correre” e così via, rendendolo senza ombra di dubbio il personaggio che più ha guadagnato in termini di consenso dal Covid insieme a Luca Zaia.

Solo che Luca Zaia studiava da virologo, lui da cabarettista. E se non fosse che questa narrazione ha creato uno strato di nebbiolina fitta su quello che stava realmente accadendo in Campania, sarebbe anche tutto molto divertente. Anzi, per un po’ lo è stato. Non a caso c’è più The best of su Vincenzo De Luca su YouTube che su Vasco Rossi. Solo che poi De Luca ha smesso di fare battute e basta. Ha iniziato anche a bullarsi sulla Campania virtuosa che ha battuto il Nord nella gestione dell’emergenza, che ha spiccato per rigore, che “Non accettiamo lezioni dal Nord, anzi le diamo” e nel mezzo ci infilava “Queste mascherine sono buone solo per fare Bunny il Coniglietto!”, roba che alla fine gli credevi sulla fiducia o comunque l’attenzione ormai era da un’altra parte.

Roba che “Come mai ha tirato su tutti ’sti ospedali in pochi giorni e la Circumvesuviana sta conciata così da decenni?”, non se lo domandava più nessuno. Poi i tempi dell’emergenza più dura finiscono, le terapie intensive e il “teatro cabaret De Luca” si svuotano lentamente. Quella nebbiolina fitta si dirada e si torna vedere la realtà per quella che è: quattro suoi fedelissimi finiscono indagati. “Io avevo immaginato che la crisi del Coronavirus potesse cambiare più in profondità le abitudini del nostro paese. Per i primi tre mesi mi era parso di respirare un clima diverso di solidarietà, di compostezza”, commenta De Luca, abbandonando il cabaret. Come no.

È fuor di dubbio che De Luca, di questa compostezza, sia stato in quei tre mesi uno degli indiscussi protagonisti. La compostezza di cui sopra, quella dei lanciafiamme e dei vecchi cinghialoni, per intenderci. Una compostezza alla Vittorio Sgarbi. Ma poi l’illusione si è sgretolata davanti ai suoi occhi. “Mi ero illuso, e invece siamo tornati ai vecchi vizi del nostro paese, al pollaio nazionale, una cosa deprimente”.

Mannaggia, i vecchi vizi del giornalismo d’inchiesta o delle inchieste giudiziarie. Il pollaio nazionale delle perquisizioni ai dirigenti delle Asl indagati per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture. Quel clima di solidarietà e di unità nazionale se n’è andato, è tornato il vecchio vizio di appurare se siano state effettuate frodi ai danni della pubblica amministrazione. Roba da matti.

De Luca afferma piccato “abbiamo fatto miracoli” e in effetti è un miracolo che i prefabbricati dell’ospedale Covid di Salerno riescano a reggersi su dei mattoni messi lì sotto ai moduli, come quando ti rubano le ruote della macchina. È miracoloso che un’azienda inizi a lavorare per la costruzione dell’unità Covid dell’Ospedale del Mare di Napoli 5 giorni prima che gli venga affidato l’appalto. È come quando prenoti la masseria in Puglia per il tuo matrimonio con cinque anni d’anticipo perchè c’è tanta richiesta e tu nel frattempo sei ancora single.

De Luca parla del lockdown come il nonno racconta ai nipoti dei bei tempi quando dovevi lavarti il culo in cortile e bere l’acqua del pozzo, con quella dolcezza di chi nel passato più duro era comunque felice perché era giovane e pieno di bei sentimenti. Perché ormai, purtroppo, è chiaro che il “clima diverso di solidarietà” sta scomparendo assieme ai ricoverati in terapia intensiva, e i vecchi vizi sono dietro l’angolo e fanno paura.

Tipo il vecchio vizio dei giornalisti di considerare De Luca poco meno di un impresentabile, habitué del linguaggio aggressivo (“Quello che fece Rosy Bindi fu una cosa infame, da ucciderla”, i 5 stelle “che vi possano ammazzare tutti”, a Travaglio “vorrei incontrarlo di notte, da solo, al buio”), condannato dalla Corte dei Conti in vari procedimenti contabili, gentile sì, ma con i figli e le loro ambizioni politiche. Un vizio terribile: molto meglio la quarantena.

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