L’intervista

Mi sono ripreso i sogni

Lele Spedicato si racconta - Il chitarrista dei Negramaro: “Porterò la mia vita in viaggio”

6 Luglio 2020

C’è una frase di Joan Baez che torna in mente dopo aver composto il numero: “Non si può scegliere il modo di morire, e nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora”. La voce dall’altra parte è quella di Lele Spedicato. Dopo aver lavorato al nuovo album, il chitarrista dei Negramaro ci racconta i sei mesi più difficili della sua vita. È il 17 settembre 2018 quando Lele si sveglia con un forte mal di testa che in breve degenera. Riesce a uscire di casa, ma si accascia a bordo piscina. La moglie Clio, svegliata dai lamenti, lo soccorre subito. È la prima metà di marzo 2019 quando Lele lascia la Fondazione Santa Lucia di Roma, che lo ha rimesso in piedi e gli ha consentito di recuperare una piena autonomia. La causa, un’emorragia cerebrale che lo ha portato in coma a neanche 38 anni.

Lele, la prima domanda è d’obbligo: come stai?

Sempre meglio. Non è mai abbastanza lo stare bene, specie dopo questi incidenti. Si cerca di raggiungere il mille per cento per essere pronti a problemi e opportunità.

I Negramaro non si sono fermati durante il lockdown e hanno registrato il nuovo disco, ognuno da casa propria. Com’è andata?

Abbiamo sempre usato la musica a scopo terapeutico, e ci è sembrato necessario farlo soprattutto in questo strano evento che ha coinvolto il mondo. Abbiamo “sfruttato” – concedetemi il termine – il periodo per sentirci più vicini.

Possiamo anticipare la data di uscita dell’album?

Ci stiamo ancora lavorando.

I tuoi fan ti sono stati accanto, dimostrandoti immenso affetto. Via social.

La tecnologia non è mai stata così utile come durante il lockdown: è servita ad accorciare le distanze. Ha rappresentato il contagio del bene contro quello della morte. E anche per noi artisti è stato un continuo di dirette Instagram o di videochiamate con parenti e amici. Ai fan devo tanto fin dall’inizio del mio percorso artistico. Li ho ringraziati, li ringrazio e li ringrazierò sempre: mi danno la forza di crederci ancora di più.

Sei tornato a lavorare e a progettare il futuro. Eppure quel 17 settembre la tua vita ha rischiato di cambiare direzione.

Un evento simile ti spiazza, ti scombussola i piani. Ti rendi conto di quanto la vita stessa sia imprevedibile e di come possa cambiare in un attimo la prospettiva futura. Dopo, impari a dare il valore giusto alle cose e alle persone. Non lasci più nulla al caso.

Quel giorno tua moglie ti ha trovato e soccorso.

Clio mi ha salvato la vita. Ha compreso la gravità della situazione e, nonostante fosse all’ottavo mese di gravidanza, ha mantenuto il sangue freddo e ha chiamato i soccorsi, giunti immediatamente. Quei secondi hanno fatto la differenza. Sono stato trasportato al Fazzi di Lecce e operato d’urgenza alla testa. I medici sono stati eccezionali: non ho danni permanenti al cervello e posso ancora fare tutto quello che voglio.

Poi qualcuno ha capito che serviva una neuro-riabilitazione di massimo livello.

Il primario di rianimazione, il dottor Pulito, ha consigliato il Santa Lucia. Quando sono arrivato a Roma, nessuno – neanche tra i miei familiari – avrebbe potuto immaginare che nel giro di qualche mese sarei tornato a suonare.

Le tue condizioni erano così gravi?

Non solo non potevo camminare, ma neanche stare seduto: mi dovevano legare alla sedia a rotelle, perché altrimenti mi “chiudevo a libro”, in avanti. E non avevo l’uso delle mani.

E invece il giorno di San Valentino 2019 eri a Rimini, sul palco con la tua band: un assolo da brividi sulle note di Cosa c’è dall’altra parte, il brano che Sangiorgi ha scritto per te.

Lo avevo promesso ai miei “fratelli” e alla mia famiglia, li avevo invitati sotto il palco, non ci avevano creduto. Per questo piangevamo tutti: di gioia.

È stata una sfida?

Un obiettivo, come il voler prendere in braccio quel figlio che mi stava nascendo e che aveva diritto a un papà in forze. Ci ho messo tutto l’amore del mondo e, grazie a coloro che mi hanno sostenuto, ce l’ho fatta.

Ci sono stati giorni bui?

La stanchezza psicofisica mi ha sempre accompagnato. La mia sola forza di volontà non sarebbe bastata: i medici, i terapisti e tutto il personale del Santa Lucia sono stati grandiosi, mi hanno dato modo di credere che ce l’avrei fatta. Hanno capito che potevano spingere sull’acceleratore perché non mi tiravo indietro. Quando sono stato dimesso, mi hanno detto: “Di fronte a un caso come il tuo, la scienza e la medicina alzano le braccia”. Un miracolo.

La neuroriabilitazione ospedaliera è oggetto di revisione in due bozze di decreti ministeriali: si vorrebbero limitare le cure a chi è stato in coma. Questo creerebbe una forte disuguaglianza. Penso al tuo amico Manuel Bortuzzo, che in coma non è stato.

Tutti gli esseri umani hanno diritto alle giuste cure, specialmente se sono stati vittime di incidenti che non si sono andati a cercare. E se è il Santa Lucia a fornirle, mettere in discussione il suo futuro è una follia. Dovrebbero aprirne a centinaia di strutture così, non costringerle alla chiusura.

Se passassero i decreti, per un Lele Spedicato quanti Mario Rossi non riceverebbero la stessa attenzione in un’idea di sanità uguale per tutti?

La mia paura è questa: sarebbe assurdo considerare le persone in base al lavoro che fanno o al loro status. Noi esseri umani siamo uguali e non dobbiamo ricevere cure diverse a seconda di quanto possiamo pagare.

La band non sarebbe andata avanti senza di te.

Loro sono fondamentali nella mia vita da oltre vent’anni e lo saranno sempre. Il rapporto che c’è tra di noi va al di là del lavoro. Se posso permettermi di sognare ancora in musica è grazie a loro: mi hanno regalato la speranza del futuro.

E in quale futuro credi?

Con la mia famiglia immagino un futuro in viaggio e con i miei “fratelli” di portare la musica in viaggio. Ecco: porterò la mia vita in viaggio per il mondo.

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