Lo studio

In Cina il Corona circolava già da fine ottobre

La ricostruzione - Una ricerca italiana data l’origine e la modalità di diffusione nei primi mesi: “Si è adattato e ha colonizzato l’uomo”

29 Febbraio 2020

È uno sforzo senza precedenti quello per comprendere la dinamica di diffusione dell’epidemia di Coronavirus e, quindi, arginarla. Gli scienziati italiani stanno fornendo contributi chiave per svelare le tante tessere che ancora mancano del puzzle Covid-19. E a farlo in tempi rapidissimi è stato il gruppo guidato da Gianguglielmo Zehender, del Dipartimento di scienze biomediche e cliniche Luigi Sacco dell’Università di Milano. Lo stesso che qualche settimana fa ha isolato il Coronavirus-19 da pazienti italiani. La loro ricerca è appena stata accettata dalla rivista internazionale Journal of Medical Virology.

“Dalla nostra ricostruzione filogenetica del virus, emerge che l’epidemia ha avuto origine tra fine ottobre e novembre”, spiega Zehender al Fatto. Lo studio ricostruisce quello che potremmo chiamare l’albero genealogico del virus, a partire dalle sequenze geniche pubblicate dai ricercatori cinesi che per primi hanno isolato il virus da pazienti infetti nella regione di Wuhan. Le hanno rese note il 7 gennaio scorso, informando così l’Oms del fatto che si trattava di un nuovo tipo di Coronavirus. Si sa, infatti, molto poco di questo virus. E le notifiche dei casi positivi – come accade per ogni epidemia, specie se causata da patogeni sconosciuti – avvengono in ritardo rispetto al momento in cui il virus ha contagiato le prime persone in Cina nella regione di Wuhan.

Sono due gli elementi imprescindibili per capire come evolverà l’epidemia. Per prima cosa bisogna datare il reale inizio dell’infezione: serve a comprendere la dinamica di diffusione del virus e gli spostamenti. E, poi, vanno previste le traiettorie geografiche su cui si muoverà il virus. L’altro elemento cruciale è stabilire quanto il virus è efficiente nel trasmettere l’infezione da uomo a uomo. C’è un numero che lo esprime, il cosiddetto Basic Reproductive Number (R0). Indica quante persone suscettibili al virus è in grado di infettare, da solo, un paziente contagiato. Cioè, quanto velocemente l’epidemia procederà, specie in un contesto in cui sembra che la maggior parte dei contagiati non venga intercettata dai sistemi di sorveglianza nazionali, perché sviluppa sintomi lievi o nulli.

Lo studio del gruppo di Milano fornisce anche un’altra informazione importante. “Abbiamo osservato che, a partire da dicembre, il virus ha aumentato di molto la propria capacità di trasmettersi da uomo a uomo”, spiega Zehender. Che aggiunge: “Vediamo che oggi un singolo paziente contagiato ha la probabilità di trasmettere il virus a 2,6 persone. All’inizio, cioè tra ottobre e novembre, questo numero era inferiore a 1”. Prima di dicembre, la capacità del virus di trasmettersi da uomo a uomo era molto più bassa di ora. Perché? I ricercatori fanno solo ipotesi, non hanno ancora elementi per stabilire la ragione. “Il cambiamento – spiega Zehender – può dipendere da tanti fattori, che non conosciamo. Trattandosi di un virus che ha come serbatoio iniziale il pipistrello, può darsi che fosse meno capace, inizialmente, di infettare l’uomo”. Potrebbe, cioè, nel tempo essersi adattato meglio al nuovo ospite, l’uomo, e diventare così più bravo a colonizzarlo. Oppure, i primissimi casi potrebbero essere apparsi in regioni poco densamente popolate e poi, spostandosi su altre più dense, il contagio può essere avvenuto più rapidamente. Un’altra possibilità ancora è che abbia contagiato, da dicembre, sottopopolazioni più fragili, dal punto di vista del contagio. “Non possiamo saperlo”, dice Zehender.

Il prossimo step del gruppo sarà quello di effettuare l’analisi genetica delle popolazioni del virus isolate da pazienti italiani per tracciarne, se esistono, differenze con quello isolato dai pazienti cinesi. Differenze che potrebbero fornire indicazioni su quando esattamente il virus è arrivato in Italia. Il gruppo, impegnato h24 sul Covid-19, conta meno di dieci persone, di cui la maggior parte precaria.

“Abbiamo perduto validi ricercatori in questi ultimi dieci anni, per mancanza di fondi che ci permettessero di rinnovare i contratti”, aggiunge Zehender. Un capitale di conoscenza di cui l’intera società civile ne coglie l’importanza durante emergenze come il Covid-19, ma che si costruisce in decenni di tempi di “pace” investendo in ricerca pubblica, non tagliando i finanziamenti come hanno fatto tutti i governi italiani nell’ultimo decennio.

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