Stragi, la regola italiana: ‘Nessuno sappia la verità’

9 Dicembre 2019

Tempo fa un giornalista americano da anni in Italia mi ha chiesto come mai negli Stati Uniti tutti sanno che gli autori dell’attentato suprematista di Oklahoma City (1995: 168 morti, 672 feriti) sono stati rapidamente scovati e condannati (il capo Timothy McVeigh, giustiziato), mentre qui da voi se domandi chi ha messo la bomba a piazza Fontana, roba di mezzo secolo fa, nessuno ti sa rispondere. Sbagli non si tratta soltanto di Milano, ho replicato: prova a chiedere in giro se qualcuno sa chi sono stati gli autori dell’attentato di Brescia a piazza della Loggia, o della strage alla stazione di Bologna. E le bombe sui treni? E il Dc9 di Ustica? Misteri dolorosi (costati nell’arco di quindici anni, dal ’69 all’84, 227 morti e 819 feriti) e destinati a restare tali per sempre. Poiché, a differenza del resto del mondo civile dove tutti devono conoscere la verità, qui da noi vale la regola opposta: nessuno deve sapere. Un indegno scordiamoci il passato che vorrebbe farci dimenticare i funerali con le folle che chiedevano giustizia. Quei vagoni calcinati dalle fiamme. Quei bimbi dilaniati che stringevano tra le manine i pacchetti di Natale. I corpi martoriati, le urla disperate, lo smarrimento di una nazione. Come è stata possibile questa rimozione collettiva, la perdita completa della memoria illuminata solo dalla cadenza degli anniversari?

Tre sono le cause profonde del triangolo delle Bermude della menzogna, chiamata strategia della tensione: lo Stato deviato, la giustizia discordante, l’informazione intossicata. Dei primi due fattori si è detto (quasi) tutto. Conosciamo l’attività della struttura paramilitare clandestina Gladio (creata durante la guerra fredda in funzione anticomunista), con elementi reclutati nell’eversione di destra più scatenata che si servivano per gli attentati del materiale esplosivo dei depositi Nasco. Sappiamo dell’azione capillare di copertura dell’attività stragista orchestrata dalle strutture dei servizi segreti, servi di due padroni. La Cia, con le sue articolazioni, interessata a destabilizzare presenza e ruolo del partito comunista più forte dell’Occidente nel Paese cerniera della guerra fredda tra Est e Ovest. E la P2, che a queste finalità aggiungeva il tentativo (riuscito) di scalare i pubblici poteri a cominciare dagli apparati della sicurezza interna.

Quanto alla magistratura nessuno può affermare che le toghe non abbiamo fatto il loro dovere. Alcuni magistrati, più testardi di altri, sono arrivati a un passo dalla verità dei fatti. Ma, appunto, la rete delle deviazioni, dei depistaggi, delle coperture organizzata dagli apparati paralleli dello Stato hanno quasi sempre impedito che le montagne di indizi diventassero prove indiscutibili. Cosicché le Corti non potevano dire: “Questa è la verità e questi sono i colpevoli”; bensì: “Essendo impossibile accertare verità e colpevoli, dobbiamo assolvere”.

Ma cosa c’entra l’informazione? O meglio, la disinformazione? Anni fa mi capitò di parlarne con un magistrato che univa all’esperienza delle indagini sul terrorismo la conoscenza delle tecniche di intossicazione dei media messe in atto dai servizi paralleli. Mi spiegò che una tecnica raffinata, e molto usata, era quella dei finti scoop. Quegli agenti, infatti, conoscevano bene quanto la normale competizione tra le testate giornalistiche potesse assumere caratteri e modalità ossessive in presenza dello stragismo. Si agiva facendo arrivare a questo o a quel giornalista, in contatto con le fonti investigative, una qualche “clamorosa novità” in grado di sovvertire di colpo la gerarchia delle notizie pubblicate sulla vicenda. A quel punto, come sempre, le altre testate partivano alla caccia di documenti segreti, informazioni riservate, verbali secretati ecc. in grado di smentire la concorrenza e di imporre una nuova “verità” all’opinione pubblica affamata di certezze. Così di seguito finché attraverso l’accumulo progressivo di verità e controverità, di “misteri svelati” a loro volta contenitori di misteri successivi, come nelle scatole cinesi, non si alzasse un denso polverone che nascondeva tutto. Cosicché, nella pubblica opinione disorientata e confusa non si facesse strada la resa psicologica di chi preferiva rassegnarsi nella dimenticanza.

Piazza Fontana rappresenta l’archetipo di questa piramide dell’oblio programmato. Da Pietro Valpreda, ballerino anarchico, mostro sbattuto in prima pagina poi prosciolto. Al ferroviere Giuseppe Pinelli, innocente, “caduto” dalla finestra della Questura di Milano. Ai neofascisti Freda, Ventura e Giannettini, condannati e assolti. Ai vertici dei Servizi, Maletti e Labruna, condannati per depistaggio. Ai camerati Delle Chiaie e Fachini, processati e assolti. E quindi Delfo Zorzi, condannato all’ergastolo ma nel frattempo fuggito in Giappone. Fino alla parola fine pronunciata nel 2005 dalla Cassazione: stabilisce che la strage fu opera del gruppo eversivo padovano capitanato da Freda e Ventura. Purtroppo non più perseguibili perché già assolti con giudizio definitivo. Ignoti gli esecutori materiali. Il cerchio si chiude. Ma allora la bomba chi l’ha messa? Nessuno.

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